I diversi Ministri europei responsabili in materia di politiche sociali e dell’occupazione hanno raggiunto, solo pochi giorni fa, un accordo sulla proposta della Commissione per la definizione di una raccomandazione dedicata allo spinoso tema della disoccupazione di lunga durata. Gli Stati europei si sono impegnati così a rafforzare le misure di sostegno alle oltre 11 milioni di persone che sono, attualmente, disoccupate da oltre un anno e a concentrare gli sforzi verso l’offerta di chiari percorsi di reinserimento.
Il numero di disoccupati di lunga durata è, infatti, raddoppiato tra il 2007 e il 2014 e attualmente rappresenta la metà delle persone senza lavoro in Europa. Il fenomeno della disoccupazione di lunga durata, nel 2014, ha interessato – è importante sottolinearlo – ben 12,1 milioni di persone (il 5% della popolazione attiva dell’Unione europea), il 61% dei quali era senza lavoro da più di due anni. Tuttavia, la situazione varia notevolmente nei diversi paesi. Nel 2014, la percentuale di forza lavoro disoccupata da più di un anno andava dall’1,5% di Austria e Svezia a quasi un quinto della popolazione attiva in Grecia (qui si arrivava al 19,5%).
La disoccupazione di lunga durata è, in ogni caso, un problema particolarmente sentito, perché quanto più le persone sono senza occupazione, tanto più problematico diventa per loro rientrare nel mercato del lavoro attivo. I disoccupati di lunga durata, ossia le persone che sono senza lavoro da oltre un anno, hanno, infatti, una possibilità due volte più bassa di trovare un’occupazione rispetto a quei lavoratori nella medesima condizione da un lasso di tempo minore. Ogni anno, quindi, un quinto di questi smette di cercare un lavoro, diventando così inattivi.
La disoccupazione di lunga durata impatta, inoltre, in maniera diversa sulle varie categorie di persone. I lavoratori con basse qualifiche e cittadini di paesi extra Ue hanno, ad esempio, il doppio delle probabilità di cadere in questo tunnel così come le persone con disabilità e/o appartenenti a qualche minoranza svantaggiata. La disoccupazione di lunga durata è, quindi, tre volte superiore tra i lavoratori a bassa qualifica che tra quelli con qualifiche elevate e colpisce un po’ di più gli uomini (54%) rispetto alle donne (46%). Se si guarda, poi, alla distribuzione per età, si nota come questo fenomeno sia abbastanza uniforme con tassi leggermente superiori prima dei 30 anni e dopo i 55.
Tutte queste tendenze devono essere, almeno nei progetti della Commissione, invertite per garantire, anche ai disoccupati da più lungo tempo, di beneficiare della ripresa economica. Vincere questa sfida contribuirebbe, infatti, notevolmente alla sostenibilità della crescita e alla coesione sociale.
Sara l’Italia, fresca di approvazione del Jobs Act, in grado di fare la propria parte? Solo il tempo, a partire dai prossimi mesi, ci potrà dire la verità. Riuscire a rottamare, almeno un po’, la disoccupazione sarebbe un fatto di cui il Governo potrebbe certamente andare fiero. Senza la creazione di lavoro, inoltre, ogni vaga ipotesi di crescita e di trasformazione, profonda, del Paese rischia di rimanere lettera morta. L’Italia, insomma, non può che ripartire vincendo, se può, questa grande sfida.