A fronte di un assai modesto livello di innovazione (come si è visto nel precedente articolo), sul posto di lavoro e negli elementi costitutivi della propria professione, gli intervistati (indagine Isfol-Istat, Le professioni in tempo di crisi) manifestano una fortissima ed esplicita richiesta di aggiornamento professionale (76% degli intervistati nelle professioni per le quali almeno il 60% di costoro ha dichiarato tale necessità). Essi rappresentano una cospicua porzione di tutti gli occupati (oltre 14 milioni, pari al 63,8% del totale). A fronte, però, di tale sentita esigenza, le occasioni effettive di aggiornamento professionale, nella pratica lavorativa, risultano perlopiù inadeguate, evidenziando un cospicuo differenziale tra la domanda potenziale e la sua soddisfazione reale. Lo sviluppo delle professionalità acquisite sono, difatti, attività svolte almeno una volta l’anno solo per poco più della metà delle professioni (il 52,7%), mentre la formazione viene proposta nell’8% dei casi solo occasionalmente e mai per oltre una professione su tre. Gli intervistati sono stati sondati, poi, anche riguardo alle modalità con la quale era stata effettuata l’attività di aggiornamento, vale a dire frutto di: a) iniziativa personale; b) programmi sistematici; c) esigenze specifiche.
L’istanza esplicita di attività formativa è stata maggiormente evidenziata dalle “Professioni di elevata specializzazione”, secondo grande gruppo, le quali (95,0%) hanno indicato anche il valore più elevato tra quanti dichiarano di aver avuto accesso a un aggiornamento (80,1%), nonché la minore distanza tra questi due valori (differenziale di 14,9). In questo gruppo, tra le professioni che risultano particolarmente sensibili al tema vi sono quelle legate alle attività di ricerca in ambito accademico, alle attività di insegnamento di ogni ordine e grado, quelle legate alla tutela dell’ambiente, alla salute e ai servizi sociali quali gli specialisti nelle scienze della vita, i medici, ma anche gli architetti, i pianificatori, i paesaggisti e gli specialisti del recupero e della conservazione del territorio. Riguardo alle modalità con le quali è stata svolta l’attività formativa vi gioca un ruolo incontrastato l’iniziativa personale (71,7%), mentre i programmi sistematici (16,9%) e le esigenze specifiche (11,4%) appaiono largamente residuali.
Le “Professioni tecniche”, terzo grande gruppo, fanno registrare una forte richiesta di aggiornamento (91,8%) e una formazione effettuata molto minore rispetto al gruppo precedente (63,0%, con un delta molto ampio, di 28,8). Qui possono essere menzionate le professioni della salute, della sicurezza e della protezione ambientale, i tecnici del settore dei trasporti aerei, navali e ferroviari. Per quel che concerne le modalità di svolgimento è sempre l’iniziativa personale a essere al primo posto (47,3%), seguita dai programmi sistematici (30,1%) e dalle esigenze specifiche (22,5%) in intervalli non troppo distanti gli uni dagli altri.
I “Dirigenti ed imprenditori”, primo grande gruppo, hanno espresso una domanda di formazione elevata (90,8%) e sono riusciti a svolgerla nel 71,1% dei casi, con un gap di 19,7. Tra queste professioni, dell’alta dirigenza, sono da sottolineare quelle dei direttori e dei dirigenti della Pubblica amministrazione e, in particolare, nei servizi di sanità, istruzione e ricerca. Anche qui è da segnalare, come motore primo dell’attività formativa, l’iniziativa personale (66,3%) seguita, però, a notevole distanza dai programmi sistematici (19,0%) e dalle esigenze specifiche (14,6%).
Le “Professioni esecutive d’ufficio”, quarto grande gruppo, hanno esplicitato una richiesta di formazione nell’83,0% dei casi, ma con assai minori possibilità di svolgimento (48,1%, con un delta molto ampio, di 34,9). Tra coloro che hanno avuto la possibilità di partecipare a una qualche attività di aggiornamento, l’iniziativa personale (36,9%) si colloca quasi alla pari dei programmi sistematici (35,7%) e delle esigenze specifiche (27,5%) a evidenziare come, in questo gruppo, l’addestramento sul posto di lavoro gioca un ruolo molto rilevante, sia nella componente sistematica che in quella contingente.
Le “Professioni nel commercio e nei servizi”, quinto grande gruppo, hanno dichiarato una domanda di aggiornamento del 70,0% e una formazione effettuata del 40,9% (differenziale, molto ampio, di 29,1). Per quel che riguarda la specificazione di come l’attività formativa sia stata svolta vi è da sottolineare che, anche qui, predomina l’iniziativa personale (42,5%), ma non sono molto lontani i programmi sistematici (32,7%) e le esigenze specifiche (24,8%).
Gli “Artigiani e operai specializzati”, sesto grande gruppo, hanno esplicitato anch’essi una forte richiesta di aggiornamento (63,7%) a fronte di un basso livello di adempimento (34,8%, con un gap molto ampio, di 28,9). Qualora ce ne fosse ulteriore bisogno, questo gruppo conferma l’assunto che la maggiore qualificazione e specializzazione ha insita in sé un forte ethos di carattere professionalizzante in quanto l’iniziativa personale torna a livelli elevati (53,5%), superiore addirittura alle professioni di tipo tecnico. Le esigenze specifiche (28,3%) fanno segnare, infine, un valore assai maggiore rispetto ai programmi sistematici (18,3%) e, probabilmente, qui è dato rintracciare tutte quelle innovazioni di processo, ancor più che di prodotto, così tipiche del sistema manifatturiero italiano.
I “Conduttori di impianti e macchinari”, settimo grande gruppo, esprimono anch’essi una consistente richiesta di formazione (55,6%), con una percentuale di soddisfazione delle loro richieste piuttosto bassa (23,0%, con delta molto ampio, di 32,6). In questo gruppo, le modalità di svolgimento dell’aggiornamento vedono prevalere le esigenze specifiche (43,9%), seguite dalle iniziative personali (32,4%) e dai programmi specifici (23,8%).
Le “Professioni non qualificate”, ottavo grande gruppo, sono quelle dove vi è meno richiesta esplicita di attività formativa (33,1%) e ancor meno possibilità di effettuarla (14,8%, con un differenziale tra i più bassi, di 18,3). Anche qui prevalgono, così come si era già visto nel gruppo precedente, le esigenze specifiche (40,7%) seguite, a breve distanza, dalle iniziative personali (37,3%) e dai programmi specifici (22,0%).
Conclusioni
Il primo dato che emerge dalla valutazione, oltremodo soggettiva, dei lavoratori intervistati è che le innovazioni culturali, organizzative e tecnologiche sembrano aver lasciato una tenue traccia nel sistema delle occupazioni nostrane. Mentre altrove, e segnatamente nel contesto statunitense, esse appaiono attraversate da trasformazioni pervasive, da questo lato dell’Atlantico sembra regnare, invece, in maniera molto forte, una sostanziale impermeabilità ai processi innovativi.
La produzione normativa è presente soprattutto nelle professioni della conoscenza, in quelle tecnico-specialistiche, in quelle altamente qualificate, nelle professioni esecutive d’ufficio e primeggia nel gruppo dei dirigenti e imprenditori, ma è presente anche nelle professioni del commercio e dei servizi, nonché nelle occupazioni manuali qualificate, mentre, com’era lecito attendersi, è assai minore tra le occupazioni manuali non qualificate.
Le innovazioni tecnologiche e dei macchinari sono distribuite, con valori sostanzialmente decrescenti, tra tutti i gruppi, occupando sempre la prima posizione, tranne nel caso degli imprenditori e dirigenti.
Delle innovazioni dovute ai cambiamenti organizzativi se ne parla tantissimo in letteratura, ma vengono poco citate dagli intervistati se esse fanno registrare dei valori intorno al 15%, tra le professioni della conoscenza e quelle esecutive di ufficio, mentre solo nel gruppo degli imprenditori e dei dirigenti superano di poco il 20%.
Le innovazioni dovute ai prodotti o servizi e ai materiali fanno registrare solo valori residuali, tutto sommato, anche laddove ci si potrebbe aspettare di trovarne in maniera significativa, ovvero nelle occupazioni non qualificate e manuali.
A fronte di tale mediocre situazione, i lavoratori hanno una percezione assai forte dei cambiamenti in atto nel mercato del lavoro, e nei riguardi della loro stessa occupazione, perché, pur essendo stati interessati, solo nel 26% dei casi, da un processo di innovazione, dovuto perlopiù a una nuova regolamentazione del settore di competenza, esprimono una larghissima necessità di aggiornare le conoscenze acquisite o di apprenderne delle nuove. Tale percezione appare, dunque, ampiamente collegata alla consapevolezza di una società attuale basata sull’innovazione e di come quest’ultima si debba necessariamente riverberare sui posti di lavoro.
Ciò sembra avvalorare assai bene, dunque, la sentita esigenza di attività formativa la quale, però, nella stragrande maggioranza dei casi, è principalmente frutto dell’iniziativa personale del lavoratore, raramente promossa dall’impresa, o dall’ente di appartenenza, attraverso programmi sistematici o come iniziativa sporadica che risponde a esigenze specifiche e contingenti, quali l’introduzione di nuovi macchinari, materiali o prodotti.
In conclusione, sembrerebbe esserci una relazione diretta tra “base cognitiva” e innovazione, tra aggiornamento richiesto e formazione effettuata, con valori sempre decrescenti, man mano che si scende verso le occupazioni non qualificate e manuali. Nelle professioni qualificate, difatti, l’accento che viene messo sulla “base cognitiva” è, dunque, di assoluto rilievo e, pertanto, sono quelle in cui sia l’innovazione che la formazione, in una sorta di apprendimento continuo, lungo l’intero arco dell’esistenza lavorativa, vengono ritenute imprescindibili per la propria attività professionale.
Se ne deduce, quindi, che siccome le imprese non hanno avuto, chissà se solo in tempo di crisi, come loro esigenza prioritaria quella di curare il capitale umano dei propri dipendenti, siano stati quest’ultimi a cercare, costantemente, di manutenerlo e aggiornarlo da soli, anche mediante i sempre più diffusi Massive open on-line courses (Mooc’s). I dati, sin qui visti, sembrerebbero, poi, in secondo luogo, apportare ulteriori conferme, di natura prettamente qualitativa, relative alle innovazioni e alla formazione nei posti di lavoro, all’assunto di un mercato del lavoro italiano, come visto in un precedente articolo, sempre più artefice di posizioni lavorative dequalificate a discapito di quelle a elevata qualificazione.
(2- fine)