I dati Istat riferiti al mese di maggio ci descrivono una situazione di mercato del lavoro immobile. Poche e di scarso valore le variazioni rispetto al mese precedente. Il tasso di disoccupazione resta al 12,4%, quello di inattività cresce dello 0,1% e quello di occupazione complessivo cala dello 0,1% e si attesta al 55,9%. Tale immobilismo dimostrato dai dati percentuali indica però che qualche decina di migliaia di lavoratori non è più occupata e, visti i saldi registrati da Istat, si sono per lo più ritirati dal mercato risultando inattivi. È come se, dopo alcuni mesi di ripresa dei dati occupazionali, si fosse creata una situazione di bonaccia entro la quale i meno motivati hanno deciso di sospendere la ricerca di lavoro.

Il quadro risulta più marcato se si confrontano i dati a 12 mesi. Qui i segni tornano a essere positivi, perché rispetto al maggio di un anno fa vi sono 60.000 occupati in più (+0,3%) e un + 0,3% anche del tasso di occupazione. Anche i disoccupati calano rispetto a 12 mesi fa (-1,8%) e la disoccupazione complessiva è scesa dello 0,2%.

L’immobilismo registrato dai dati conferma l’impressione già sottolineata nei commenti dei mesi precedenti. La nuova legislazione del lavoro ha fluidificato il mercato esistente. Vi sono più movimenti e crescono i lavori con contratti stabili. Resta però una difficoltà economica complessiva. La domanda di lavoro non cresce e i movimenti registrati dalle Comunicazioni obbligatorie indicano una redistribuzione dei posti di lavoro ma una crescita molto limitata. I settori produttivi non hanno ancora imboccato una fase di crescita e quindi il mercato del lavoro resta immobile nei saldi complessivi. Il fatto che a pareggiare i conti siano (per quanto su piccoli numeri) i lavoratori che tornano a essere inattivi, ci indica che cresce una sfiducia rispetto alla possibilità di trovare un’occupazione.

Certo, l’assenza di servizi al lavoro capaci di prendere in carico questi lavoratori pesa sui risultati registrati. Ma la possibilità di percorsi di ricollocazione è sempre più difficile se non vi è una ripresa della domanda di beni e servizi che restituisca fiducia alle imprese.

Il dato complessivo è confermato e accentuato dai dati riferiti alla popolazione giovanile. Il tasso di inattività fra i giovani compresi fra i 15 e i 24 anni indica genericamente quanti sono ancora impegnati in un percorso formativo. Oggi il 74,3% dei giovani risulta pertanto inattivo e se ciò fosse solo la fotografia di quanti stanno frequentando un corso scolastico sarebbe un indicatore positivo. Ma il dato di maggio registra 43.000 giovani che risultano inattivi in più rispetto al mese precedente. Fatto salvo che l’indagine Istat è campionaria (quindi i numeri assoluti hanno un significato limitato) significa che un 1% di giovani nel mese si è semplicemente ritirato dal lavoro (o meglio dal cercare lavoro) ed è difficilmente ipotizzabile che sia per intraprendere un percorso scolastico.

Il tasso di occupazione giovanile resta al 15%, con un calo dello 0,4% rispetto al mese precedente. Il tasso di disoccupazione giovanile resta altissimo: il 41,5% dei giovani che cercano lavoro non trova sbocchi. Da questa permanente difficoltà deriva un ritorno nel limbo dell’inattività, così come registrato nei dati riferiti all’intera popolazione. Nel caso dei dati riferiti alla popolazione giovanile non si può non rilevare come il programma di Garanzia Giovani sia stato assolutamente ininfluente sulla grave situazione del mercato del lavoro. Non ha inciso nei percorsi scuola-lavoro ne è stata in grado di avviare una grande iniziativa capace di coinvolgere un numero significativo di giovani in esperienze lavorative.

Di fronte a questi dati che definiscono immobile la situazione del mercato del lavoro non può che riaprirsi un dibattito su quale scelta politica può essere incisiva per rilanciare il lavoro in Italia. Sono noti i vincoli alla spesa pubblica che limitano gli effetti di possibili interventi di stampo keynesiano classico. Da qui a trarre giudizi di immobilismo come sta avvenendo ce ne corre. Riforme a costo zero e tagli alla spesa improduttiva possono riaprire occasioni reali di rilancio in servizi e produzioni. Certo, lo scontro è con corporazioni che non vogliono lasciare certezze di reddito, ma che costano in termini sia economici che in posti di lavoro. 

Più coerenza nel disboscamento di vincoli corporativi e sostegno a settori industriali innovativi può essere lo sbocco per non avere anche nei prossimi mesi dati del mercato del lavoro che registrano solo scostamenti decimali e tornare ad avere un impulso vero nella crescita del tasso di occupazione complessivo.