È stato presentato la scorsa settimana il XV Rapporto di monitoraggio sull’apprendistato realizzato dall’Isfol. I dati contenuti nel Rapporto evidenziano una crescita (+4,4%) delle assunzioni con contratto di apprendistato nel 2014 rispetto all’anno precedente. Tuttavia, mentre la spinta è massima nel secondo trimestre del 2014 e comunque positiva nei due periodi adiacenti, segue nell’ultimo trimestre una variazione negativa che si inasprisce nel primo trimestre del 2015 (-14,3% rispetto al I trimestre 2014).



Sebbene, infatti, le assunzioni in apprendistato hanno dimostrato di essere abbastanza sensibili alle modifiche, e alle semplificazioni, introdotte nel 2014, la contrazione registrabile a cavallo tra gli ultimi due anni è certamente collegabile all’introduzione, e prima ancora all’attesa di tale innovazione normativa, del contratto a tutele crescenti che si è, di fatto, posto, prima di tutto in termini di costi per le imprese, in alternativa al contratto di apprendistato.



Dal rapporto emerge, quindi, che tra le varie forme contrattuali previste l’apprendistato di tipo professionalizzante continua a essere, di gran lunga, quello maggiormente sfruttato (era il 91% nel 2013), mentre rimane modesta la diffusione dell’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale e dell’apprendistato di alta formazione e ricerca (9% in totale). Per far sì che questi due innovativi strumenti di placement vengano, sempre più, utilizzati dalle imprese e dai giovani, il Jobs Act compie alcune scelte precise.

Si prevede, infatti, una revisione, anche molto significativa, della disciplina dell’apprendistato per la qualifica e per il diploma, che ora assume la nuova denominazione di “apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore”, nonché dell’apprendistato di alta formazione e ricerca. Nella prospettiva dell’esecutivo si pongono così le basi, anche nel nostro Paese, per la creazione di un “sistema duale”, sulla falsa riga di quanto previsto in Germania. Il conseguimento dei titoli, rispettivamente, del livello secondario di istruzione e formazione e del livello terziario, potrà ora, infatti, avvenire, in modo più semplice che in passato, anche attraverso l’apprendimento “on the job” presso l’impresa.



Il decreto, inoltre, in coerenza peraltro con il tanto contestato disegno di legge sulla “Buona Scuola”, prevede che possano accedere all’apprendistato, di durata massima quadriennale, anche gli studenti degli istituti scolastici statali per il conseguimento del diploma di istruzione secondaria superiore. È da auspicarsi, quindi, che, anche grazie a questa nuova disciplina, sarà possibile facilitare la transizione tra lo studio e il mercato del lavoro per molti giovani italiani.

Perché questo sia possibile è necessaria, tuttavia, un profonda trasformazione culturale che aiuti a leggere l’apprendistato non come un mero contratto di lavoro agevolato a cui ricorrere per ridurre i costi di gestione del personale. Per far sì che questo avvenga, tuttavia, è improcrastinabile un cambio di approccio a questo tema da parte delle istituzioni formative, a partire da scuole e università, che sembrano non aver ancora compreso appieno le potenzialità di tali strumenti anche per il ripensamento complessivo della propria offerta formativa.

Non resta, infatti, che sperare che, nonostante tutto, questa possa essere, anche grazie alle recenti riforme del Governo Renzi, #lavoltabuona.

Leggi anche

LICENZIAMENTI/ Il nuovo colpo al Jobs Act passa dall'indennità per vizi formaliJOBS ACT/ Il problema irrisolto dopo la "vittoria" della Cgil a StrasburgoJOBS ACT/ Il rischio di un'altra bocciatura della Corte Costituzionale