Sul Corriere di domenica scorsa, Ernesto Galli Della Loggia sottolinea come, a suo parere, bisogna convincersi che esser ostili in linea di principio al fenomeno migratorio, vederlo con apprensione, può essere sbagliato (come ritiene il noto editorialista del giornale di Via Solferino), sbagliatissimo, ma è del tutto legittimo. Si sostiene, quindi, che sta perciò a chi è favorevole al fenomeno migratorio pensare e adottare misure concrete per attenuare o cancellare una tale ostilità. Misure concrete però, non sermoni buonisti sull’obbligo dell'”accoglienza” che lasciano il tempo che trovano.

Per ogni possibile ulteriore riflessione è da ritenersi, tuttavia, necessaria un’analisi approfondita dei dati reali del fenomeno, a partire da quelli fondamentali della dimensione del lavoro, senza il quale ogni ipotesi di percorso d’integrazione è probabilmente velleitario. Aiuta in questo il rapporto pubblicato solo poche settimane fa su “I migranti nel mercato del lavoro in Italia” che descrive lo stato dell’arte nel 2014.

Lo studio evidenza, prima di tutto, come lo scorso anno, in Europa, la grande maggioranza degli stranieri residenti (Ue ed extra-Ue) si distribuisse in cinque paesi, tre con una consolidata tradizione come destinazione dei flussi migratori (Germania, Regno Unito e Francia) e due con una storia più recente di immigrazione: la Spagna e l’Italia (4,9 milioni gli stranieri presenti).

In particolare emerge come in Italia, nel periodo 2007-2014, a fronte di un calo medio della popolazione nazionale residente, quella straniera è cresciuta a un tasso medio del 7,8%. Il numero delle persone straniere è, tuttavia, cresciuto di circa 2 milioni di unità anche, soprattutto, per effetto di ricongiungimenti famigliari.

Con riferimento più specifico al mercato del lavoro si sottolinea come anche i dati del 2014 confermino l’effetto compensativo della forza lavoro straniera (comunitaria ed extracomunitaria) a fronte del calo della componente italiana, in continuità, peraltro, con quanto avvenuto per l’intero ciclo degli anni interessati dalla crisi economica.

I ricercatori evidenziano, tuttavia, un elemento di novità: la quasi totalità del decremento registrato per la componente nativa si concentra nel Mezzogiorno, a fronte di una consistente crescita degli immigrati nella medesima area. Permangono, quindi, le problematicità legate al mancato riassorbimento della manodopera straniera nel mercato del lavoro, con un leggero incremento delle persone in cerca di occupazione e un aumento dell’inattività in particolare tra la componente femminile di origine extracomunitaria.

Dal quadro complessivo emerge, quindi, l’originalità del caso italiano. Secondo il rapporto sopra citato, infatti, l’Italia, tra i grandi paesi europei di accoglienza analizzati, è l’unico in cui il tasso di occupazione dei cittadini stranieri si mantiene costantemente più alto di quello dei nativi e si osserva, in maniera asimmetrica tra le diverse nazionalità, una contemporanea crescita dell’occupazione, della disoccupazione e dell’inattività.

Nel mentre si cerca, quindi, una soluzione originale al problema dell’integrazione e della convivenza è da auspicare, senza distinzione di colore, razza e religione, che già dai prossimi mesi arrivi la tanto attesa ripresa. 

Il rilancio dell’economia del nostro Paese, e si spera conseguentemente dell’occupazione, è, infatti, elemento cruciale per disegnare e immaginare ogni credibile politica dell’inclusione e dell’integrazione tra vecchi e nuovi italiani.