L’ultimo rapporto Istat relativo al mercato del lavoro evidenzia come il numero delle persone in cerca di occupazione sia oggi sostanzialmente invariato rispetto alle precedenti rilevazioni: 3 milioni 101 mila unità, dopo quattordici trimestri di crescita ininterrotta e il calo registrato nel primo trimestre 2015.

Il tasso di disoccupazione è, quindi, in lieve diminuzione su base annuale. Inoltre, dopo l’aumento ininterrotto registrato fra il 2008 e il 2014, nel secondo trimestre 2015 prosegue la discesa della disoccupazione di lunga durata (quella di almeno 12 mesi), che scende al 59,5% dal 61,9% di un anno prima. A oggi sono, infatti, in questa condizione, 1 milione 845 mila italiani. Al lieve aumento dei disoccupati con precedenti esperienze lavorative si associa la riduzione di quanti sono in cerca di prima occupazione.

In questo quadro è, tuttavia, interessante evidenziare il dato che l’Istat rileva relativamente ai canali utilizzati per entrare/rientrare attivamente nel mercato del lavoro. Si scopre, ma in realtà è solo l’ennesima conferma, che la ricerca del lavoro in Italia è sempre, ahimè, affidata soprattutto ai canali informali.

Ben l’88,9% delle persone che cerca lavoro si rivolge, infatti, principalmente, ad amici, parenti e conoscenti (+2,3 punti sul secondo trimestre 2014), e questo valore sale tra i disoccupati più anziani e con basso titolo di studio Tra i laureati, altresì, la modalità di ricerca i lavoro preferita, e in crescita, è invece l’invio del curriculum alle aziende.

La sensazione, insomma, è che le risorse che ogni anno il nostro Paese spende per tenere in piedi la rete dei servizi pubblici per l’impiego (i cosiddetti “Centri per l’impiego”) vengano, in qualche modo, gettate e che la segnalazione, che nella sua versione deteriore diventa una raccomandazione, abbia sempre maggiore successo ed efficacia che il ricorso a strutture, almeno sulla carta, altamente professionali e a questo obiettivo espressamente dedicate.

Sebbene, infatti, non ci sia niente di male nel fatto che l’incontro sul mercato avvenga in maniera informale, sarebbe certamente auspicabile che una percentuale maggiore di intermediazione venisse svolta da soggetti competenti e professionali anche al fine di realizzare il miglior matching possibile tra le competenze dei lavoratori e i reali fabbisogni del sistema delle imprese. Questo risultato non può essere, certamente, garantito dalle reti di amici e conoscenti e dalle loro appassionate “segnalazioni”.

Si pensi solo alla necessità, e possibilità, di valorizzare, sempre più, in questa direzione, il ruolo di placement delle scuole e delle università nei confronti dei loro studenti. Anche questa è una delle sfide che, con la sua concreta implementazione, il #jobsact è chiamato a vincere fin dai prossimi mesi. E speriamo sia #lasvoltabuona.