Il 31 dicembre 2015 è scaduto il bando di Italia Lavoro ideato per l’assunzione facilitata dei dottori di ricerca, con età compresa tra i 30 e i 35 anni. Ogni azienda che avesse deciso di assumere un dottore di ricerca per almeno un anno a tempo pieno aveva diritto a ricevere un bonus di 8.000 euro. Un milione di euro disponibili, per un totale di 125 imprese/dottori di ricerca beneficiari.
Il bando è uscito a luglio 2014 con scadenza al 31 dicembre 2014, poi è stato prorogato al 28 febbraio 2015 e infine, a due giorni dalla scadenza, nuovamente prorogato al 31 dicembre 2015. Al 28 agosto 2015 – come riportato da La nuvola del lavoro, blog del Corriere della Sera – meno di 50 dottori di ricerca erano tra i beneficiari (dato indicativo confermato telefonicamente da un funzionario di Italia Lavoro). Pur premettendo che sarebbe interessante avere un aggiornamento alla chiusura del bando, è piuttosto evidente che se – dopo diverse proroghe – solo 50 aziende su 125 hanno usufruito del bonus, la figura del dottore di ricerca risulta poco appetibile nel nostro mercato del lavoro.
La notizia, in realtà, non è una notizia; nel senso che la cosa sorprende fino a un certo punto. Se andiamo infatti a vedere alcune specificità del nostro mercato del lavoro ci accorgiamo innanzitutto che le competenze più richieste in ingresso sono quelle trasversali, le cosiddette soft-skills: conoscenza delle lingue straniere, capacità di lavorare in gruppo, capacità comunicative scritte e orali, capacità di risolvere problemi, abilità nel gestire il rapporto con i clienti, capacità di negoziazione, capacità di lavorare in autonomia, flessibilità e adattamento, abilità creative e di ideazione, capacità direttive e di coordinamento, competenze informatiche, ecc.
In secondo luogo, per quanto riguarda i profili più richiesti, secondo l’Osservatorio di Manpower a giugno 2015 erano i seguenti: operai specializzati, segreteria, tecnici specializzati, agenti di vendita, contabilità e finanza, professionisti IT, coaching aziendale, direttori delle vendite, operatori sanitari, addetti ristorazione e personale alberghiero.
Come si evince da questi elementi di base del nostro mercato, le imprese non sono così interessate ai profili alti. Questo perché il nostro tessuto produttivo è quasi nella sua totalità espressione della piccola e media impresa – dove il profilo alto è spesso di troppo – e resta molto legato a logiche informali, dove prevale la rete delle conoscenze a discapito delle competenze. Ciò da molto tempo sortisce quella che molti hanno definito la “fuga dei cervelli” che, più che una fuga, è un andare dove il lavoro si trova. I profili alti in molti casi non trovano il lavoro in Italia, ma lo trovano in Europa, in particolare in GB e nella zona mitteleuropea, in virtù di una maggior presenza della grande impresa che nei paesi dell’Europa mediterranea, tra cui l’Italia, non è così sviluppata.
Anni addietro questo differenziale era molto più marcato, oggi le dinamiche dell’economia globale stanno accrescendo le logiche formali del mercato e una più strutturata presenza della grande impresa in Italia e nei paesi del sud Europa. Ecco perché oggi i profili alti e i cervelli italiani hanno più speranza di restare a casa.
@sabella_thinkin