Il ricorso a forme fraudolente di lavoro è una questione importante in molti paesi europei. In questo quadro un recente rapporto di Eurofound esamina queste pratiche in tutta l’Unione europea e mostra come il problema è affrontato nei diversi 28 (?) Stati membri. Applicando criteri giuridici, lo studio definisce, quindi, l’uso fraudolento di lavoro, o comunque di un altro tipo di rapporto contrattuale assimilabile, sulla base di due condizioni coesistenti, per cui: serve un accordo contrattuale e le circostanze di fatto non corrispondono ai requisiti formali, legali per questa specifica forma di lavoro. È, tuttavia, poi difficile distinguere in pratica se l’accordo sia legale, sommerso, fraudolento e/o illegale. In molti casi, infatti, i contratti hanno lo scopo di dare l’impressione che questi siano forme legittime di lavoro. Solo un esame più attento può, infatti, farci capire se il contratto è corretto o nasconde, invece, un diverso rapporto.
L’analisi dei diversi contesti nazionali indica tre forme di lavoro che sembrano essere più colpite da utilizzo fraudolento: il lavoro autonomo, il lavoro a tempo determinato e il distacco dei lavoratori. Nel 79% dei paesi coperti dallo studio europeo emerge che l’uso fraudolento del lavoro autonomo (si pensi alle false “partite Iva”) è stato significativo. In più della metà dei paesi (il 55%), è stato poi registrato l’uso fraudolento del lavoro a tempo determinato, mentre l’abuso dei lavoratori in distacco interessava il 52% degli stati. Meno significativo l’utilizzo fraudolento del lavoro interinale (in Italia diremmo lavoro somministrato) che si ferma al 41% degli apprendisti e tirocinanti, dei rapporti contrattuali tra imprese e delle altre forme di lavoro temporaneo, come quello a chiamata o lo stagionale.
Come prevedibile, l’uso fraudolento del lavoro coinvolge tutti i settori e le professioni, in particolare i media, l’arte, il turismo e la ristorazione, dove si segnala l’utilizzo fraudolento di tirocini e lavoro stagionale.
Sembra insomma, anche dai dati europei, che l’Italia non sia il solo Paese chiamato a dover combattere la dura battaglia per sconfiggere il fenomeno del lavoro a vario titolo nero. Il recente boom dei voucher, e ancor prima del lavoro a chiamata, sembra, peraltro dimostrare che anche il Jobs Act non stia riuscendo a vincere la sfida. Come, tuttavia, si dice spesso che non è che il lavoro si crea per decreto, altrettanto vale per eliminare l’utilizzo fraudolento dei contratti più o meno flessibili. Serve, infatti, prima di tutto una grande rivoluzione culturale che metta, nei fatti e non solo nelle parole, il lavoro al centro.