Buone notizie dall’Istituto nazionale di statistica che, nella sua rilevazione periodica sull’occupazione riferita al mese di settembre, ci dice che pur salendo lievemente il tasso di disoccupazione generale (11,7%, in aumento di 0,2 punti rispetto al mese precedente), si registra una diminuzione della stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-0,9%, pari a -127.000). Il tasso di inattività scende al 34,8%, il minimo storico dal 1977, ovvero data d’inizio delle serie, e si evidenzia un crollo nel loro numero su base annua (-508.000). Il tasso di disoccupazione giovanile cala di 1,2 punti rispetto al mese precedente, attestandosi al 37,1%.



Ciò che è significativo di questi dati è l’aumento della popolazione attiva, ovvero di chi esce dallo stato di inattività; anche a questo è dovuto il seppur lieve aumento della disoccupazione. Forse che la crescita della sharing economy abbia qualche incidenza in questo senso? Non deve sorprendere che l’Italia sia leader in Europa per capacità di condivisione, ciò è nella nostra cultura. Certo che la forte crescita della sharing economy è di grande auspicio, perché si tratta di un segmento destinato a incrementare il nostro Pil.



Mai come negli ultimi mesi nel nostro Paese abbiamo imparato a creare valore semplicemente condividendo online beni e servizi, al punto che siamo tra i primi tre Paesi in termini di utenti e conoscitori, dietro la Turchia e la Spagna, guarda caso due paesi mediterranei dove, come nel nostro, c’è una cultura sociale diversa dai paesi nordici e/o del centro Europa.

Si tratta di un giro d’affari che nel 2015 è stato pari a 3,5 miliardi di euro, ma che tra dieci anni potrebbe valerne 14 e nella migliore delle ipotesi superare i 25. Uno studio importante sull’impatto e sulle prospettive della sharing economy nel contesto italiano viene dall’Università di Pavia, che ha effettuato una ricerca specifica commissionata da PHD Italia, parte del network globale PHD Media.



Dai trasporti alla ristorazione, dai servizi immobiliari a quelli professionali, fino alle attività finanziarie e assicurative, sono tanti i servizi e le piattaforme più popolari che incidono sul successo quotidiano del concetto “condividere e guadagnare”: si va da “ScambioCasa” e “AirBnB”, i portali che permettono di scambiare la propria casa con quella di un altro utente o di affittare camere e appartamenti ai turisti, fino a “BlaBlaCar” per condividere viaggi e passaggi in auto oppure ai servizi di “BikeMI” e “Car2Go” per prendere in prestito bici o auto e pagarne l’effettivo utilizzo. E poi, per quanto meno conosciuta, c’è “Gnammo”, la piattaforma che con il social eating offre la possibilità di organizzare pranzi e cene in casa o in altre location.

La sharing economy si è molto ramificata e sfugge spesso a puntuali misurazioni. La difficoltà di prevederne lo sviluppo consiste nel fatto che è ancora da capire quanto il fenomeno sfonderà nelle fasce d’età più adulte, pur registrandosi già ora indicatori interessanti: l’utente è prevalentemente quello nella fascia 18-34 anni, ma anche in quella 35-54 si registrano livelli interessanti; non sono nemmeno pochi gli over 55 curiosi. Difficile, appunto, prevedere come il fenomeno si muoverà in relazione in particolare alle fasce adulte, ma gli studiosi non escludono che proprio su di esse potranno esserci delle sorprese, anche in virtù dell’internet sempre più di massa e dell’infrastruttura digitale che nel Paese è in crescita.

Certo è che, dopo il caso Uber, la sharing economy ha bisogno di un fondante riferimento normativo che, alla Camera, è quantomeno stato presentato.

 

Twitter @sabella_thinkin