La disoccupazione giovanile resta, fra le tante anomalie del mercato del lavoro italiano, quella verso cui si è cercato a più riprese di intervenire. La situazione occupazionale dei giovani non è oggetto della crisi partita nel 2008. I dati anche di lungo periodo indicano nell’alto tasso di disoccupazione dei giovani in Italia un problema strutturale su cui la crisi ha agito come evidenziatore e acceleratore di processi. Guardando i dati dell’ultimo trentennio si nota come solo nelle fasi di forte stabilità, crescita economica nazionale sempre contenuta rispetto ai partners europei, il dato dei disoccupati sotto i 29 anni è sceso sotto il 10%. È arrivato a punte superiori al 15%, restando per lo più fra il 10% e il 13%.
Questo dato nazionale va poi integrato con il forte squilibrio fra aree geografiche, con un Mezzogiorno permanentemente segnato da una disoccupazione giovanile endemica e che non ha mai trovato misure in grado di affrontare le ragioni strutturali che la determinano. Se ai dati della disoccupazione aggiungiamo il dato della dispersione scolastica che resta mediamente al 18% con poche differenze fra aree regionali, possiamo dire che il problema della crescita del capitale umano ha nella questione giovanile il fattore principale.
Come noto, la domanda di lavoro non dipende dalle politiche del lavoro svolte ma dalla crescita economica. Fermarsi a questa osservazione scolastica rischia però di non far emergere come per quanto riguarda il nostro Paese vi sia un rapporto fra inadeguatezza della formazione giovanile e crescita dell’occupazione. Se fosse automatico il rapporto tra crescita e ripresa occupazionale non registreremmo, anche negli ultimi anni di crisi, un aumento sia dei disoccupati di giovane età che di posti di lavoro non coperti. Vi sono costantemente imprese che cercano figure professionali, e non riescono a trovarle, e giovani che a fine percorso formativo scoprono che le loro competenze non sono richieste.
Pesano politiche regionali contraddittorie. Certo, le difficoltà poste alla crescita della formazione e istruzione professionale e dell’apprendistato rallentano quando non impediscono l’incontro fra domanda e offerta di lavoro. Il tema però non è mai stato affrontato in modo organico e con un progetto nazionale che tenga conto di tutti i fattori. Rispetto ai paesi europei, con cui siamo confrontabili, l’Italia ha bisogno di lavorare di più e studiare di più. Lavorare di più perché chi lavora, lavora tanto ma sono pochi quelli che lavorano, e abbiamo un tasso di occupazione che resta fra gli ultimi rispetto ai dati europei. Studiare di più perché abbiamo troppo abbandono scolastico e pochi laureati sempre rispetto ai partner europei. Ma va aggiunto che occorre anche studiare meglio, ossia, migliorare il rapporto tra formazione e profili professionali richiesti. Ciò è ancora più indispensabile oggi per le caratteristiche dello sviluppo industriale. Sempre più servono percorsi formativi sviluppati con le imprese, ad alto contenuto professionale e con una formazione continua durante la vita lavorativa.
Per rispondere a queste necessità sono in corso in molte regioni esperienze e progetti pilota. Italia Lavoro, agenzia nazionale governativa, ha sviluppato negli anni passati il progetto Botteghe di mestiere. Obiettivo era inserire in azienda giovani che, attraverso un tirocinio semestrale, acquisissero una professionalità che permettesse un inserimento lavorativo stabile.
L’iniziativa ha coinvolto operatori del mercato del lavoro e imprese per favorire aggregazioni fra di esse con reti verticali od orizzontali al fine di individuare le figure professionali richieste in ottica di settore. È stata così definita la formazione di cluster settoriali che costituissero la Bottega in grado di definire i percorsi di tirocini richiesti e che sarebbe stata seguita da tutor capaci di garantire il perseguimento degli obiettivi individuati.
Sono stati quindi “mobilitati” gli attori della rete, oltre 10.000 fra operatori del mercato del lavoro (consulenti del lavoro, Apl, centri di formazione ma anche associazioni di categoria e sindacali) e oltre 3.000 imprese disponibili ad avviare giovani al lavoro. I settori maggiormente attivi sono stati alimentare ed enogastronomia, costruzioni impiantistica e metalli, lavorazione del legno, moda, ristorazione, benessere e meccanica. L’iniziativa ha coinvolto oltre 3.200 tirocinanti. Ben l’80% dei percorsi è giunto a conclusione con l’acquisizione di professionalità richieste e una nuova occupabilità. Sui 2.550 percorsi conclusi, ben 800 ha portato all’assunzione nell’impresa dove si era svolto il tirocinio o in un’altra facente parte della rete.
L’iniziativa proseguirà anche nei prossimi mesi con un’importante presenza di imprese impegnate in settori innovativi e ponendosi però l’obiettivo di fare diventare le Botteghe punti di riferimento stabili della rete di servizi al lavoro. È questo obiettivo il punto significativo dell’iniziativa. Ciò che più manca nella filiera dei servizi al lavoro sono soggetti in grado di proporsi costantemente come facilitatori di percorsi di formazione progettati per rispondere alle vacancy presenti nel mercato o alle nuove esigenze di figure professionali che maturano dentro il processo di trasformazione in atto nelle aziende.
Il deficit, tutto nazionale, di servizi di raccordo scuola-lavoro sta alla base di una carenza di domanda di lavoro rivolto ai più giovani. L’Italia è punteggiata di eccellenze nei corsi di Iefp e di Istituti tecnici che hanno mantenuto la capacità di rispondere con flessibilità alle mutate esigenze professionali creati dalla trasformazione dei settori economici. Dalla grande distribuzione alle reti commerciali, dai settori industriali ai servizi interpellati dalle trasformazioni indotte dall’impatto della rete, ma anche al mutare dei contenuti del lavoro smaterializzato negli studi professionali, emergono nuove competenze richieste a tutti i livelli di impiego.
Nel settore formativo prevalgono ancora “corsifici” che bruciano risorse senza fornire professionalità che assicurino una reale occupabilità. Gli strumenti normativi per il sistema duale scuola-lavoro, per sostenere l’apprendistato a tutti i livelli sono stati introdotti. Si tratta quindi di favorire il formarsi di operatori di eccellenza in tutte le provincie che siano in grado di essere punto di riferimento al fine di fornire formazione adeguata, in aula e sul lavoro, per superare un gap che pesa sia sui giovani disoccupati che sulle imprese, frenando così crescita economica e nuova occupazione stabile.