È stato pubblicato ieri il periodico rapporto dell’Istat su occupati e disoccupati che si propone di misurare, assieme a pubblicazioni simili quali quelle di Inps e le elaborazioni delle Comunicazioni obbligatorie da parte del ministero del Lavoro, lo stato di salute del nostro mercato del lavoro. Il nostro istituto nazionale di statistica registra, è importante sottolinearlo subito, che dopo il calo di marzo (-1,7%) la stima dei disoccupati ad aprile sale dell’1,7% (+50 mila), tornando al livello di febbraio. In particolare, l’aumento è attribuibile alle donne (+4,2%), mentre si registra un lieve calo per gli uomini (-0,4%). Il tasso di disoccupazione è, così, oggi pari all’11,7%, in aumento di un seppur modesto 0,1% su marzo. 



Questa è certamente una buona notizia: ad aprile si osserva, infatti, una consistente crescita del tasso di partecipazione al mercato del lavoro determinata dall’aumento, allo stesso tempo, di occupati ma anche di disoccupati, al quale corrisponde un forte calo degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-0,8%, pari a -113 mila). Una diminuzione che riguarda sia gli uomini che le donne e si distribuisce tra tutte le classi d’età. Il tasso di inattività scende, così, al 35,4% (-0,3 punti percentuali). 



Per quanto riguarda, quindi, gli occupati, dal rapporto dell’Istat emerge che dopo l’aumento registrato a marzo (+0,3%) la stima degli occupati ad aprile sale ancora dello 0,2% (+51 mila persone occupate). L’aumento riguarda sia i lavoratori dipendenti (+35 mila i tempi indeterminati, stabili quelli a termine), sia quelli autonomi (+16 mila). La crescita dell’occupazione coinvolge, inoltre, allo stesso modo uomini e donne e riguarda tutte le classi d’età, a eccezione (ahimè) dei lavoratori (e i potenziali tali) tra i 35 e i 49 anni. Il tasso di occupazione del Paese (ancora molto lontano dai principali partner europei) raggiunge, quindi, il 56,9%, aumentando di 0,2 punti percentuali sul mese precedente. 



In una prospettiva annuale si conferma così la tendenza all’aumento del numero di occupati (+1,0%, pari a +215 mila). La crescita è interamente, almeno secondo queste elaborazioni, attribuibile ai contratti a tempo indeterminato (+1,9%, pari a +279 mila occupati a tempo indeterminato), mentre sono in calo sia quelli a termine che il lavoro autonomo. Nello stesso periodo si prevede, infine, un significativo calo del numero dei disoccupati (-3,0%, pari a -93 mila) e, soprattutto, degli inattivi (-2,1%, pari a -292 mila).

L’occupazione riparte, insomma, se si riesce ad attivare, e reinserire nel mercato, i (sempre) troppi espulsi che, scoraggiati, hanno smesso di cercare lavoro o di scommettere su loro stessi investendo sulla propria riqualificazione professionale.

Il governo, quindi, se vuole vincere la grande sfida riformista (almeno secondo la maggioranza) del Jobs Act deve, sempre più e con maggior convinzione, scommettere sulle politiche attive senza le quali il suo modello di flexicurity all’italiana è destinato, inevitabilmente, a fallire.