È di ieri la pubblicazione di uno studio, elaborato congiuntamente, dato certamente interessante, dall’Istituto di studi e previsione economica tedesco Ifo, dall’Istituto francese Insee e dall’Istituto nazionale di statistica italiano Istat, sui possibili rischi sulla ripresa dell’economia europea dopo la Brexit.
Preliminarmente lo studio evidenzia come il risultato del referendum britannico abbia aumentato l’incertezza sulle prospettive economiche dell’Eurozona. In particolare, si sottolinea che gli effetti di breve periodo, riferiti prevalentemente al commercio estero, dovrebbero essere contenuti e limitati al quarto trimestre del 2016, mentre gli effetti di medio-lungo periodo saranno condizionati dalla natura, e dalla qualità, dei futuri accordi tra il Regno Unito, guidato dalla nuova premier Theresa May, e l’Unione europea.
In questo quadro si valuta che la crescita media attesa dell’Eurozona per il 2016 sarà pari all’1,6%. I consumi, in particolare, dovrebbero risultare la componente di maggior supporto all’espansione, grazie al miglioramento del nostro mercato del lavoro e al basso livello dei prezzi. Gli investimenti, inoltre, dovrebbero, complessivamente, crescere, nel corso del 2016, sostenuti anche da condizioni finanziarie più favorevoli che in passato. L’inflazione, allo stesso tempo, è attesa aumentare progressivamente e raggiungere, nella media del 2016, lo 0,3%.
Lo studio ci racconta anche come nel primo trimestre dell’anno il Pil sia cresciuto, in tutta Europa, oltre le attese (+0,6%), trainato dai miglioramenti più pronunciati nei consumi, e negli investimenti, mentre il contributo estero netto è stato negativo per il terzo trimestre consecutivo. Tra i principali paesi, la Spagna ha registrato la crescita più robusta (+0,8%), seguita da Germania (+0,7%) e Francia (+0,6%). La crescita italiana è stata, ahimè, più contenuta (un più modesto +0,3%), seppur positiva e in leggero aumento nonostante le tante “storiche” riforme approvate dal Governo in questi ultimi due anni, a partire dal Job Act.
Il rapporto si conclude, quindi, rilevando come un forte aumento dell’incertezza sulla, sicuramente difficile e complessa, gestione dell’uscita del Regno Unito potrebbe influenzare in modo fortemente negativo i mercati finanziari, riducendo la fiducia, gli investimenti e, ovviamente, le prospettive relative alla creazione di nuovi posti di lavoro in un’Europa che, almeno in realtà come quella italiana, non è ancora uscita dalla “Grande Crisi”. Tali effetti sono, tuttavia, di difficile quantificazione in questo momento.
All’opposto ci si auspica che un impatto contenuto della Brexit e una dinamica più robusta dell’economia americana, e dei cosiddetti “Paesi emergenti”, rafforzino la ripresa del commercio mondiale con effetti positivi sulle esportazioni dei paesi europei e sulle dinamiche occupazionali.
Un ruolo, quindi, notevole sarà affidato al nuovo governo, post brexit, britannico e dal livello di responsabilità dell’esecutivo guidato, ora, dalla May. In Italia sarà, inoltre, particolarmente importante apprendere la “lezione inglese” e la gestione dell’esito del referendum anche nella prospettiva di quello sulla #renxit che si terrà nel nostro Paese nel prossimo autunno.