Un recente rapporto dell’Isfol traccia un bilancio del programma europeo Garanzia Giovani e delle iniziative legislative in materia di lavoro (contratto a tutele crescenti, esonero contributivo, legge sulla “buona scuola”). Le finalità del piano europeo sono note e sono rivolte, in particolare, ad attivare i Neet (fino a 29 anni), offrendo loro, entro alcuni mesi dal completamento del ciclo formativo, un’opportunità di lavoro o di ulteriore apprendimento al fine di migliorarne l’occupabilità, avvalendosi anche degli incentivi messi a disposizione da taluni provvedimenti. Nella ripartizione dei fondi l’Italia dispone di 1,5 miliardi di euro da spendere entro il 2018: un ammontare tra i più consistenti tra quelli erogati dall’Unione, in rapporto al tasso di disoccupazione e di inattività giovanile.



Il monitoraggio dell’Isfol certifica dei dati che richiamano – è quanto capita di frequente – l’immagine del bicchiere pieno solo a metà. Su di un possibile bacino d’utenza inizialmente di 1,7 milioni giovani (purtroppo in crescita) quelli che si sono registrati, al 31 marzo 2016 al netto delle successive cancellazioni e rinunce, erano 982mila (in maggioranza nel Sud e Isole) in misura pari al 57% della platea potenziale iniziale (il piano è divenuto operante dal 1° maggio 2014). Il passaggio successivo alla registrazione è stato quello della “presa in carico” da parte dei Centri per l’impiego (630.500 soggetti per un tasso di copertura del 73,7%) e la pressoché contestuale sottoscrizione del “patto di servizio” con definizione della cosiddetta profilazione (un indice che misura il grado di occupabilità del giovane e che viene preso a riferimento anche per la determinazione, in senso inverso, dell’eventuale bonus).



In questo passaggio si è manifestato anche il grado di efficienza dei servizi per l’impiego, i cui limiti (sottodimensionamento degli organici, scarsa professionalità nel placement, carenze nelle banche dati, ecc.) sono noti ed evidenti, ma i Centri si sono cimentati con una sfida inedita sul piano delle politiche attive (anticipatrice dell’Anpal), concorrendo a determinare l’avvicinamento ai servizi stessi di una nuova utenza, in un Paese in cui, finora, la ricerca di un impiego era affidata alla rete delle conoscenze.

Il Rapporto Isfol, infatti, sostiene che “quando i giovani escono dalla fase puramente amministrativa (registrazione e adempimenti vari) e iniziano la fase del proprio percorso individuale, le opinioni sono nel complesso orientate in senso positivo, ma diventano più critiche invece sulla dimensione organizzativa e logistica che presiede l’erogazione dei servizi e sulla capacità di comprendere le proprie aspettative”. Non a caso tra le motivazioni della mancata partecipazione all’intervento il caso dell’attività non in linea con le aspettative corrisponde al 6% degli abbandoni e al 13,7% dei rifiuti (la motivazione prevalente – intorno al 20% – è però quella di aver trovato un lavoro per proprio conto).



Al 31 marzo di quest’anno, i giovani avviati a un intervento di politica attiva sono stati 265.444. Complessivamente gli interventi avviati sono stati 316.771, il 21% dei quali è tuttora in corso. La quota più consistente dei giovani partecipanti risiede nel Sud e nelle Isole. I partecipanti avviati a un intervento di politica attiva rappresentano il 42% dei soggetti “presi in carico”.

Ma quali sono state le concrete opportunità offerte ai giovani? È sulla risposta a tale domanda che si concentrano le critiche, poiché il tirocinio extra-curriculare risulta essere, in misura del 64%, l’intervento più diffuso tra le azioni avviate. Seguono a distanza (11,2%) l’accompagnamento al lavoro e il bonus (10,5%). Valori analoghi presenta la formazione, mentre ha incontrato difficoltà l’apprendistato (0,1%). soprattutto nelle tipologie finalizzate all’acquisizione di un titolo di studio.

Per avvicinarsi alle conclusioni, a fine marzo, i giovani registrati al programma erano 854.948 di cui risultavano occupati 188.848 (22,1%, 8 punti in più di settembre 2015). In termini di tasso di inserimento occupazionale lordo per ogni 100 giovani che avevano completato il percorso circa 38 erano occupati; se invece si considerano i soggetti che si sono registrati nel complesso, alla stessa data i giovani occupati risultavano essere 22 su 100. Il completamento del percorso ha fornito quindi un’opportunità in più ai giovani frequentanti.

Comunque si consideri l’esperienza, occorre riconoscere che i giovani sono stati attivati. Più della metà dei partecipanti, al momento della registrazione al programma aveva un’età compresa tra i 19 e i 24 anni, mentre il 65,3% rientrava nelle coorti tra i 15 e i 24 anni. La componente femminile aveva un’età più elevata di quella maschile (in un contesto in cui non vi era sostanzialmente differenza di genere quanto al numero dei partecipanti); in particolare, il 39,4% delle donne aveva un’età compresa tra i 25 e i 29 anni e solo il 6,8% fino a 18 anni.