Nel contesto della grande crisi degli scorsi anni che, in particolare, in Europa ha colpito duramente i più giovani, ricercatori e istituzioni hanno cercato di individuare nuovi modi di monitoraggio, e di analisi, delle dinamiche del nostro mercato del lavoro. Dal 2010 il concetto di Neet (giovani non impegnati nello studio, né nel lavoro e né nella formazione) è stato così ampiamente utilizzato come strumento per informare le “nuove” politiche giovanili dell’Unione europea a 28.



Un termine, quello di Neet, che è stato utilizzato per prima volta negli anni Novanta in Gran Bretagna con riferimento alla necessità di reintegrare i giovani, di età tra i 16 e i 18 anni, che avevano abbandonato percorsi d’istruzione e formazione, ma, allo steso tempo, non erano, ahimè, entrati nel mondo del lavoro. In Europa questo acronimo, a partire dall’iniziativa faro “Gioventù in movimento”, ha, nel quadro della strategia di Europa 2020, ampliato il proprio raggio d’azione includendo, prima, i giovani fino a 24 anni e, successivamente, quelli fino a 29.



Un recente studio di Eurofound, pubblicato solo pochi giorni fa, cerca, quindi, di raccontarci meglio chi sono, oggi, i Neet, un fenomeno che, secondo Eurostat, interessa circa il 12% dei giovani europei di età compresa tra i 15 e i 24 anni (6,6 milioni di ragazzi). Emerge, ad esempio, che la probabilità di diventare Neet diminuisce parallelamente al crescere del livello di istruzione che si conferma, ancora una volta, la migliore arma contro la disoccupazione e l’esclusione sociale. Tuttavia, il report, sottolinea come nei paesi dell’Europa meridionale e mediterranea, come l’Italia, si tenda, a causa della crisi, ad avere anche una grande percentuale di Neet con titoli di studio elevati.



I ricercatori ci dicono, infatti, che ci sono grandi differenze tra i diversi Stati membri sia nella dimensione che nella composizione della popolazione Neet. Nei paesi del nord e dell’Europa continentale, ad esempio, sono maggiormente presenti tra i Neet i disoccupati a breve termine, mentre in alcuni paesi del sud e del Mediterraneo sono prevalenti i giovani senza lavoro da più tempo e gli scoraggiati. Nell’Europa orientale, altresì, la maggior parte dei Neet è composta da donne anche per la mancanza, in queste realtà, di adeguate politiche di supporto alla conciliazione tra lavoro e carichi familiari. 

Danimarca, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi e Svezia registrano poi, potremmo dire ovviamente, i tassi più bassi di Neet (inferiori al 7%). Al contrario, ma anche questa non è una novità, la Bulgaria e la nostra Italia primeggiano, ahimè, in questa classifica (andando, in entrambi casi, sopra il 19%).

La #svoltabuona, insomma, ancora non sembra vedersi nonostante le tante riforme fatte, e rivendicate, dal nostro premier. Serve, forse, ora un cambio di rotta: un milione, e oltre, di giovani italiani Neet lo merita e, forse, se lo aspetta anche.