L’agosto appena terminato è stato per molti, certamente, un mese da dedicare al necessario e meritato riposo, ma anche per fare un bilancio su quanto realizzato nei mesi scorsi e per programmare, e progettare, quelli che verranno. C’è da auspicare che anche il Governo, e la maggioranza, abbiano fatto, tra una festa dell’Unità e l’altra, le loro riflessioni sulle azioni da mettere in campo a partire dal ritorno all’ordinaria attività politica nei primi giorni di settembre.

I prossimi mesi, sembra ovvio, non potranno essere solo dedicati alla delicata gestione del post-sisma e, soprattutto, alla campagna per il Sì al referendum sulla riforma costituzionale elaborata dal trio Renzi-Boschi-Verdini. Il Paese reale ha bisogno, infatti, a prescindere dall’esito della consultazione popolare e del futuro politico del Governo Renzi, di un piano industriale per rilanciare l’economia e, quindi, l’occupazione.

Questo emerge chiaramente anche dai dati pubblicati mercoledì da quei pericolosi “gufi” dell’Istat. I numeri ci dicono che a luglio la stima degli occupati cala dello 0,3% rispetto al mese di giugno (-63 mila), interrompendo una tendenza positiva registrata nei quattro mesi precedenti (+0,4% a marzo, +0,5% ad aprile, +0,2% a maggio e giugno). Il calo è particolarmente significativo per le donne e per i lavoratori autonomi (-68 mila). Gli occupati calano, poi, tra i lavoratori fino a 49 anni mentre aumentano tra gli over 50. Nel complesso, quindi, il tasso di occupazione registrato, pari al 57,3%, diminuisce di 0,1 punti percentuali sul mese precedente.

Il tasso di disoccupazione, quindi, scende complessivamente all’11,4%, in calo di 0,1 punti percentuali su giugno, ma, allo stesso tempo, la stima degli inattivi, cioè di chi non lavora ma neanche cerca una nuova occupazione, tra i 15 e i 64 anni a luglio aumenta dello 0,4% (+53 mila), dopo il calo registrato nei quattro mesi precedenti. Un aumento che riguarda, nello specifico, maggiormente le donne a fronte di una sostanziale stabilità del dato degli uomini. Il tasso di inattività risulta, quindi, alla fine pari al 35,2%: +0,2 punti percentuali.

La speranza, tuttavia, è che la politica non abbia bisogno dei dati, seppur utili, della statistica per sentire e percepire le ansie e le preoccupazioni dei cittadini per il futuro del proprio lavoro e, quindi, delle loro famiglie. Le allegre feste del periodo agostano, ahimè appena terminato, dovrebbero, infatti, servire anche a questo: ricordare a chi ha responsabilità verso il Paese che il lavoro non lo crea né il bicameralismo, più o meno perfetto, né, tantomeno, il doppio turno sia con il premio alla coalizione che alla lista.