La lettura dei dati sul coronavirus è un processo complesso quanto a volte shoccante: i numeri, si dice, non mentono. Talvolta però sono soggetti ad interpretazione, soprattutto se presi singolarmente (quindi per valore assoluto). Capita quindi con i dati sul contagio che la Protezione civile commenti: “Piccolo incremento, l’ipotesi è un accumulo di risultati di tamponi fatti nei giorni precedenti”.
La precisazione è sacrosanta, del resto anche l’Oms oggi sposta il picco-onda ai prossimi giorni, parlando di espansione massima ormai in dirittura d’arrivo. Noi lo avevamo anticipato con questo modello. Rimane centrale lo scenario lombardo: ieri la Regione ha registrato nuovi incrementi che hanno indotto il governatore Fontana ad affermare: “I numeri purtroppo non sono molto belli, il numero dei contagiati è aumentato un po’ troppo rispetto alla linea dei giorni scorsi”. Dichiarazioni forti che pesano sullo scenario italiano, che si inclina sul dato regionale in rosso.
Intanto in Veneto inizia a vedersi uno spiraglio di luce. Zaia ha puntato sul modello “Corea”, ovvero tamponi a tappeto. Un punto che ha fatto comprensibilmente innervosire Fontana. “Sui tamponi – ha dichiarato il governatore, pungolato dai giornalisti – speculazioni vergognose. La nostra è la regione che ha fatto il maggior numero di test, se le direttive cambiano ci informino”.
Veneto e Lombardia, due modelli d’approccio diverso. Il Veneto, che ha bloccato tutto (subito) e ha provveduto a tamponare a tappeto pare, per ora, avere contenuto l’emergenza, di fatto abbattendo il cluster (a rischio esponenziale) di Vo’ Euganeo. È vero che Codogno risulta in sicurezza, ma l’intera Lombardia paga modelli diversi, che Fontana si è trovato a dover gestire mediando con Roma. Dopo lo scoppio dell’epidemia a Codogno, l’attenzione si è spostata su Bergamo e Brescia. Le due città hanno messo in campo tutto, il personale sanitario sta dando il massimo, se non molto di più di ciò che si può chiedere, ed i numeri di ieri non devono scoraggiare, ma far riflettere su quanto siano fondamentali le tempistiche nello scenario di epidemia odierno.
Zaia lo ha cavalcato ispirandosi ai modelli asiatici di chiusura totale per arrivare a chiedere la famosa tracciatura con Big Data che vi avevamo anticipato, potendo infine dichiarare “Bene crollo di accessi ai pronto soccorso della Regione, frena la curva dei contagi”. Così il Veneto è passato dai 4.000 contagi medi giornalieri ai 1.000 scarsi. Nonostante ciò il governatore del Veneto ricorda: “Siamo riusciti a frenare la curva dei contagi, ma purtroppo abbiamo i morti. L’isolamento di 17mila persone dà la misura del grande lavoro che stiamo facendo, l’effetto-tamponi”.
Fontana paga forse una non perfetta coesione con Milano. Mentre il governatore chiedeva serrate, il sindaco Sala andava all’opposto (si è scusato giusto due giorni addietro) alimentando quella differenza di tempistica che rende la Lombardia asimmetrica (per ora) rispetto al resto del paese. Lo avevamo scritto giorni fa, memori dell’importanza dell’impatto degli eventi sui modelli di calcolo. Le analisi sull’evoluzione del cluster euganeo hanno dimostrato che soltanto il 3% dei contagiati manifestava sintomi. Questo punto è importante. Significa che il 70% circa era asintomatico, portatore ma all’apparenza sano. Se l’isolamento totale non fosse stato obbligatorio queste persone sarebbero potute uscire e contagiare altri. Merito del virologo Andrea Crisanti, docente all’Università di Padova e direttore dell’unità operativa di microbiologia del policlinico, che ha suggerito a Zaia questa linea. Il modello Veneto funziona e Crisanti spiega “Un virus si sconfigge con tre misure da attuare assieme. Quarantena rigida, distanziamento sociale e sorveglianza attiva”.
l’Italia ora ha bisogno di un calo di contagi alla veneta. La Regione della Serenissima può diventare il faro a cui la nave Italia s’aggrappa per superare la tempesta.