Facciamo il punto sulla circolazione attuale del coronavirus prima di ragionare su quanto a lungo dovremo subirlo. I dati sui nuovi contagi da Covid-19 in Italia (Figura 1) mostrano che la fiammata infettiva partita verso la fine di giugno si sta smorzando: il colmo è stato superato nell’ultima decade di agosto e, da allora, è sceso del 22%. La mortalità, invece, è stabile, essendo al culmine della curva (Figura 2) e in ritardo fisiologico di un paio di settimane rispetto all’accertamento dell’infezione. Dalla prossima settimana, la mortalità dovrebbe diminuire del 9% e nella settimana successiva del 20%, coerentemente con il declino del tasso d’infezione. La fiammata infettiva dovrebbe esaurirsi nei primi giorni di novembre.
Figura 1. Nuovi contagi da Covid-19 in Italia; dati settimanali; ultima rilevazione 11 settembre 2021 (Fonte: Johns Hopkins University – CSSE; dati settimanali)
Figura 2. Morti da Covid-19 in Italia; dati settimanali; ultima rilevazione 11 settembre 2021 (Fonte: Johns Hopkins University – CSSE; dati settimanali)
Dobbiamo ammettere che la fiammata in corso è giunta inattesa, considerato che eravamo alla soglia della cosiddetta “immunità di gregge” (o “di popolazione”), quella che si credeva si ottenesse se si vaccinava il 70% della popolazione. In Italia siamo al 72% di prime dosi e al 64% di pienamente vaccinati e si è lo stesso verificata una nuova fiammata infettiva, seppure di gravità inferiore alle tre precedenti. Il fatto non riguarda solo noi: fiammate infettive di entità nettamente superiore alla nostra si sono verificate di recente nel Regno Unito, che è più avanti di noi nella vaccinazione, e persino in Israele, paese che sembrava aver raggiunto l’immunità di popolazione molto prima di ogni altro al mondo.
È dunque evidente che non solo non basta raggiungere il 70% di vaccinati, ma che l’infezione causata da questo virus non è assimilabile alla generalità dei fenomeni infettivi e che necessita di approfondimenti tecnici, pena il rifiorire dell’infezione ancora e ancora.
Allarghiamo pertanto il discorso. Si acquisisce l’immunità al livello della popolazione (non a quello individuale!) quando – a seguito dell’infezione naturale o della vaccinazione – si riesce a spezzare la catena di trasmissione della malattia. Ciò significa che l’agente virale continua ad esistere nella comunità ma non si trasmette, se non raramente, quando incontra un individuo immune.
Il livello di autodifesa degli individui non è, però, uguale per tutti, né è eterno. Sappiamo che la durata dell’immunità indotta dalla malattia e dal vaccino sono in genere differenti: quella indotta dalla malattia è generalmente superiore a quella dei vaccini correnti, tuttavia il livello di copertura degli anticorpi naturali varia in funzione della gravità dell’infezione, essendo molto elevato nel caso di ricovero in ospedale o in terapia intensiva e gradatamente inferiore nei casi di sintomi moderati o nulli (asintomatici). Va detto, per correttezza, che alcuni opinionisti (tra cui il virologo Fauci, che è parte in causa con la casa farmaceutica che produce il vaccino Moderna) non sono d’accordo con l’affermazione che l’immunità naturale supera in genere quella vaccinale.
L’immunità al 70% si riferisce ad un tasso di riproduttività del virus, misurato dall’indice Rt, circa pari a 1 (mentre quello del Covid-19 è molto più alto: tra 2,5 e 3,5) e ad un’efficacia dei vaccini prossima al 100%. Le case farmaceutiche Pfizer e Moderna dichiararono, alla fine del 2020, che i loro vaccini avevano un’efficacia protettiva del 95%, ma le stesse case dichiararono, con il beneplacito delle agenzie internazionali per il farmaco, che i calcoli erano stati fatti in condizioni di emergenza che non riflettevano il mondo reale (ossia, erano stati sperimentati solo su campioni di volontari adulti senza problemi sanitari). Inoltre, non avevano sperimentato vaccini per la popolazione giovanissima. In definitiva, nessuno sa quale sia l’efficacia reale dei farmaci in uso presso la popolazione italiana, ma è probabile che il valore dichiarato sia sovrastimato di qualche punto percentuale.
Per non perderci in dettagli tecnici, diciamo che bisogna procedere con altre vaccinazioni. Su valori più alti del 70% si sta parametrando anche la Svezia, paese che aveva preso sotto gamba l’infezione puntando su una libresca immunità di gregge e che ha pagato questo errore con gravi conseguenze sanitarie. Quale sia la soglia giusta, purtroppo, dobbiamo sperimentarlo in vivo. È stato calcolato che, per ottenere un Rt basso, dell’ordine di 0,5, utilizzando i vaccini correnti, l’immunità di gregge si ottiene vaccinando tra l’84% e il 90% della popolazione (K. Kadkhoda, 2021, AJCP). Pertanto, per spegnere l’infezione, può essere necessario vaccinare all’incirca un 10% in più del 70% inizialmente ipotizzato.
Non sarà facile aumentare di così tanto la quota di vaccinati. Infatti, in Italia, i più vecchi sono quasi tutti vaccinati. Né si può vaccinare sotto i 12 anni, perché manca un vaccino specifico. Si può individuare un margine di manovra residuo tra i 12-24enni, i quali possono essere convinti in ragione della frequenza scolastica. Più difficili da superare saranno, invece, le resistenze registrate nella popolazione adulta tra 25 e 49 anni, anche perché i vaccinati in questa classe d’età sono già il 74% (Figura 3). È la popolazione più attiva socialmente, è consapevole dei diritti e dei doveri di cittadinanza, conosce i rischi a cui va incontro, anche se, verosimilmente, una parte di questi adulti non è del tutto consapevole del fatto che – se non si spezza la catena del contagio – ci rimettono tutti, in modo particolare i bambini e la popolazione che ha problemi di immunizzazione, e si succederanno altre fiammate infettive per non si sa quanto tempo ancora.
Figura 3. Percentuale di popolazione italiana che ha avuto almeno una dose di vaccino al 10 settembre 2021, per classe d’età (fonte: Our World In data)
Gli italiani non vedono l’ora di lasciarsi alle spalle la pandemia, come si è potuto notare quest’estate, quando tutti hanno fatto vacanza. Questo fa sperare che anche gli irriducibili ragionino tenendo conto della precarietà del quadro sociale e produttivo complessivo.
Per uscire da questa pandemia, c’è anche un altro irriducibile da convincere: il ministero della Salute. Il ministro e i suoi tecnici devono convincersi che devono quanto prima svolgere una adeguata indagine sierologica per capire l’energia immunitaria accumulata dalla popolazione italiana. Non occorre fare l’analisi del sangue di tutta la popolazione, basta un campione ben fatto ed esaminarlo almeno due volte a distanza di tempo. Finché non si sa quanta parte di popolazione è immune e come ha acquisito l’immunità, non si possono dare direttive consapevoli.
In Italia, oggi, il numero di persone positive al Covid è di circa 130mila; quelle contagiate e rintracciate dal sistema sanitario, dal marzo 2020, sono oltre 4 milioni e mezzo. Chiaramente, questi numeri rappresentano solo la punta dell’iceberg dei contagi, perché chi ha pochi o nulli sintomi non rientra in questa conta. Quindi, sappiamo che molti milioni di italiani sono entrati in contatto con il virus, però non sappiamo né quanti, né quali.
Non è, inoltre, noto né quanto dura l’effetto del vaccino, né quanto dura l’immunità garantita dal contagio naturale. Alcuni studiosi (tra cui Paul Bienasz, virologo americano) hanno trovato che l’aggiunta di un vaccino come Pfizer agli anticorpi creati dall’infezione naturale (detta “esposizione ibrida”) potenzia non solo la capacità immunitaria dell’individuo, ma anche la flessibilità della risposta anticorpale al tentativo di aggressione sia della variante Delta che di altre varianti del coronavirus, e persino di altri virus.
Indirettamente, ciò indica che è stata una mossa avveduta quella di concedere il green pass anche a chi è guarito dal Covid-19 da meno di sei mesi. Tuttavia, si tratta di una prima approssimazione. Siccome è incerta sia la durata dell’immunità naturale che quella attivata dai vaccini (i quali, tra l’altro, non sono affatto uguali tra loro) e ancor più la durata dell’interazione tra anticorpi naturali e vaccinali, si dovrebbe realizzare un’indagine sierologica in cui la popolazione viene stratificata in base ai detti fattori, così da capire meglio qual è il livello di protezione naturale e qual è il valore aggiunto dei vaccini, in funzione del tempo trascorso dall’evento che ha determinato l’immunità. Non solo, ma queste stime devono riguardare l’intera popolazione italiana, non solo le persone che si presentano all’ospedale (come ha fatto invece l’Istituto superiore di sanità) e che sono pertanto peculiari dal punto di vista sanitario.
Quantunque tra coloro che si ammalano di Covid la grande maggioranza non sia vaccinata, si ammalano anche alcuni vaccinati e ciò genera sia apprensione tra i vaccinati, sia ulteriore diffidenza tra i non vaccinati. Se il ministero accompagnasse il green pass con ricerche sul campo, riuscirebbe non solo a fugare la nebbia che circonda l’immunizzazione, ma anche a convincere gli incerti che le autorità sanitarie intendono rendere la popolazione immune con un approccio mirato, si potrebbe dire customizzato, tenendo cioè conto delle peculiarità di ciascun individuo. E, alla fin della fiera, ciò renderebbe più celere il ritorno alla normalità nell’economia e nella società civile.
Concludendo, con il buon senso maturato durante la pandemia, si può affermare che conviene:
a) comunque vaccinarsi;
b) se possibile, immunizzarsi con vaccini dalla diversa struttura (per esempio, Pfizer – oppure Moderna – combinato con AstraZeneca);
c) se entrati in contatto con il virus (e quindi in possesso di immunità naturale), vaccinarsi con Pfizer o Moderna al fine di aumentare, con l’ibridazione, la flessibilità della propria forza anticorpale;
d) imparare a convivere con il virus, immunizzandosi e continuando ad agire con la prudenza appresa durante l’epidemia, ma lasciandosi dietro le spalle un altro grosso problema, la virus-fobia, la paura dell’eterno ritorno del virus.
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