Dai tempi della scuola ci vengono ogni tanto in mente parole in disuso. Una di queste è ignavia. Significa indolenza, inerzia, viltà. Ha altri sinonimi, come infingardaggine o accidia, che però sono enigmatici quanto ignavia, tanto che molti confondono l’accidia con l’invidia, con l’essere acidi nello spirito. L’ignavia non ci verrebbe in mente se Dante non avesse posto sugli ignavi un grave marchio d’infamia. Il Poeta disse, sprezzante, che erano coloro che vissero senza infamia e senza lode (traduzione dall’italiano antico). In Italia, e non solo nel nostro Paese, di ignavi si nutre quel mostro spesso evocato per spiegare tutti i mali sociali, la burocrazia. Chi non fa il proprio dovere istituzionale o scansa le responsabilità connesse a un regolare stipendio, pecca di ignavia. In tempi di pandemia da virus, l’ignavia può diventare un grave pericolo sociale.
Gli ignavi che qui c’interessano sono le persone e le istituzioni deputate a informare su ciò che attiene alla lotta al coronavirus, ma che non lo fanno come dovrebbero. Interpretando a proprio modo i disciplinari anti-virus, costoro si coprono con la mascherina anche gli occhi e si lavano spesso le mani, alla Ponzio Pilato, per non agitare le acque.
L’informazione sull’epidemia è scarsa, solo in parte orientata a far capire al comune cittadino come vanno le cose, e in non pochi casi è addirittura distorta. Perché diciamo che è scarsa? Di che cosa avremmo bisogno per renderci conto di come vanno le cose?
È noto a tutti che le malattie da coronavirus si sono inserite prepotentemente tra le cause di morte in Italia. Fino al 2019, morivano in Italia 631 persone al giorno per malattie del cuore o del sistema circolatorio e 511 per tumore (nostra elaborazione di dati Istat). Ogni altra disfunzione ne causava meno di 150 al giorno. Dal mese di febbraio 2020, sono morte, in media, per causa – o per concausa – del virus 250 persone al giorno. Il virus è, dunque, molto pericoloso. Considerando che quando uno si spegne per consunzione, si considera morto per arresto cardiaco (nel senso che il cuore ha smesso di battere), al giorno d’oggi solo i tumori e le malattie del sistema circolatorio mostrano effetti letali superiori al Covid-19.
Quando si è detto una volta per tutte che il virus è molto pericoloso, a che cosa servono le grandinate quotidiane di statistiche raffazzonate su morti e ricoverati? Di che cosa abbiamo veramente bisogno?
La nostra risposta è che serve un sistema informativo degno di questo nome. Un sistema informativo nazionale dovrebbe essere orientato a ridurre significativamente, o eliminare del tutto, gli effetti del virus sulla popolazione italiana. Il che non è semplice, perché un sistema informativo va ideato e creato da veri esperti, mentre non si percepisce neppure la più debole traccia di idee a questo finalizzate. Esiste solo un sistema contemplativo, quello che conta morti e feriti e che consiste, tra l’altro, in un sottoprodotto di registrazioni amministrativo-sanitarie. Se le cose non cambiano nel prossimo futuro, anche l’informazione sui vaccini sarà un sottoprodotto amministrativo (firme sui consensi informati, iniezioni fatte per giorno e per sede, e altri dati utili solo a mostrare quanto alcuni sono bravi), più che una rilevazione statistica strutturata e mirata a obiettivi di cambiamento.
Un vero sistema informativo-statistico deve fare riferimento alle persone, rappresentate tramite le loro storie sanitarie, le terapie fatte, gli esiti (sia positivi che avversi) delle vaccinazioni, le conseguenze psicologiche, sociali ed economiche dei contagi e delle limitazioni relazionali e produttive sopportate. Solo così possiamo uscirne con dignità: se producessimo solo statistiche sulle punture, sprecheremmo tempo e denaro dei contribuenti. Per chi è incuriosito dalle punture, bastano e avanzano le immagini moltiplicate dalle televisioni. Un sistema informativo-statistico deve, invece, produrre stabilmente essenza informativa sulle questioni strategiche e tattiche di interesse collettivo.
In Italia, solo l’Istat può mettere in funzione e far funzionare nel tempo un tale sistema. In altre occasioni ci sarebbe venuto in mente l’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, che però in questo periodo è più timoroso degli istituti nazionali. In realtà, l’Istat ha fatto un’indagine in questa direzione, rilevando la presenza (che gli epidemiologi chiamano prevalenza) di anticorpi correlati al Covid in un campione di italiani. Sarebbe stata un’indagine dal grande contenuto informativo: avremmo saputo quanti italiani erano entrati in contatto con il virus e quanti avevano degli anticorpi che li proteggevano. Invece, da quando l’indagine è andata storta, l’Istat ha tirato i remi in barca. Ora stanno cominciando le vaccinazioni, è il momento di ripartire sul serio. Sarebbe da ignavi il non farlo.
Un altro istituto ha un ruolo importante in questa epidemia, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms, in inglese Who). Può svolgere, per la credibilità di cui gode, anche un ruolo propulsivo per la conoscenza statistica sugli effetti dei vaccini. Si consideri che in ogni parte del mondo si sta vaccinando la gente contro il virus. Ciò nonostante, la sperimentazione dei vaccini acquisiti dall’Italia e dal resto d’Europa non ha ancora superato la cosiddetta fase 3 della sperimentazione, quella che avrebbe dovuto precedere la somministrazione alla popolazione. Per la precisione, le case farmaceutiche stanno effettivamente svolgendo la sperimentazione, la quale però finirà non prima della fine del 2021, anzi, molte case la completeranno verso la fine del 2022 o l’inizio del 2023. Quindi, come è facile documentare, la sperimentazione finirà quando tutta la popolazione sarà stata vaccinata. A cosa serva una sperimentazione sui vaccini che esibirà, se tutto va bene, i suoi risultati dopo che i vaccini sono stati inoculati sull’intera popolazione lo sanno solo certi burocrati.
La sperimentazione, inoltre, si sta svolgendo solo su campioni di popolazione adulta sana, quella che non ha problemi sanitari. Gli esperimenti in corso ignorano di proposito i giovani, le donne incinte o sospettate di essere incinte, le persone con patologie o disfunzioni organiche importanti, e le persone già entrate in contatto con il virus. Il motivo è evidente: le case farmaceutiche (a causa della forte concorrenza tra loro) vogliono dimostrare che il proprio vaccino è più efficace e non possono permettersi di includere casi problematici. Questo, ci dispiace dirlo, avviene con il beneplacito delle agenzie nazionali e internazionali del farmaco.
Facciamo un semplice ragionamento: se dagli esperimenti sui vaccini, per motivi di opportunità, si escludono i minori e le donne incinte, con quale spirito si inoculerà il vaccino in minori e donne incinte, persone per le quali non è mai stato sperimentato? Proprio per queste e per le altre categorie di popolazione escluse dagli esperimenti vaccinali, l’Oms e le agenzie del farmaco dovrebbero invece promuovere – a tamburo battente – un supplemento di sperimentazione in modo da evidenziare i possibili effetti della vaccinazione, obbligando le case produttrici a fare una serie di esperimenti specifici su (piccoli, anche meno di 1000 unità) campioni di casi e controlli a latere della sperimentazione che stanno conducendo. Anche in questo caso, aspettare la conta di morti e feriti sarebbe una grave forma di ignavia.
Si può delineare un terzo caso di ignavia, più complesso dei precedenti: riguarda il ministero della Salute. Di questi tempi, il ministero si è mosso come non mai nel fare e nel proporre. Inoltre, il sistema sanitario nazionale, se si esclude lo sbandamento iniziale, ha fatto fronte alla malattia, dimostrando di valere. Allora che cosa non va? Non va che il ministero dica che chiude a dicembre per evitare di chiudere a Natale, poi che chiuda durante il Natale per evitare che gli italiani si perdano la Befana, poi che chiuda durante la Befana e dintorni per evitare il peggio. Cascano le braccia, anche perché è sotto gli occhi di tutti che gli scarsi effetti dei provvedimenti di progressiva chiusura non dipendono, se non in minima parte, da cattivi comportamenti degli italiani, bensì da un virus che cambia facilmente natura e diventa sempre più sfuggente.
Se il ministero non sa che virus pigliare, faccia almeno capire che si è mosso sul serio per studiare, o far studiare, il fenomeno e per mettere in funzione – siamo costretti a ripeterci – un sistema informativo sull’epidemia. Chi debba studiare dal punto di vista scientifico il fenomeno, se debba essere l’Istituto superiore di sanità (Iss), organo tecnico del ministero, o una associazione di scopo tra università e Iss, oppure un altro insieme di intelligenze tratte da più discipline (con una minoranza di virologi!) ed eventualmente dal mondo della ricerca privata, lo decida il Ministero. Scelga chi dà maggiori garanzie di visione strategica. E non si preoccupi se qualche frescone, come dicono a Roma, dirà che i soldi per la ricerca sono sprecati poiché, dice sempre il frescone, i vaccini ci sono già e sistemeranno tutto. I vaccini sono un’arma di difesa: per una volta, facciamo un passo più avanti del virus, prepariamo la nostra resilienza alla prossima variante o al prossimo virus. Dice un vecchio adagio che metà dei soldi spesi in ricerca è sprecata, però non si sa quale metà. Metà nuova conoscenza è già molto più della precaria conoscenza d’oggi.
Nel mondo dei farmaci, in cui gli strumenti di persuasione e dissuasione sono illimitati, è molto più conveniente girarsi dall’altra parte che agire con buona volontà. Stiamo parlando sia delle istituzioni, sia delle persone che incarnano le istituzioni. Le istituzioni, si sa, camminano con le gambe delle persone: le persone vili spesso si reputano più intelligenti di quelle che, con disprezzo, esse chiamano idealisti; se, invece, le persone sono coscienziose, la loro sola ricompensa sarà la soddisfazione della propria coscienza. Possiamo solo sperare che la coscienza delle persone che si trovano al posto giusto sia al giusto livello di sensibilità. Un tribunale d’oggi, purtroppo, non li condannerebbe: l’ignavia non è un reato da codice penale. Solo il tribunale della storia, come insegna Padre Dante, condannerà i colpevoli d’ignavia.