A quasi un anno dall’avvio della campagna vaccinale, il bollettino dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) del 5 novembre scorso presenta un ricco dettaglio di dati, il quale consente una valutazione degli effetti delle vaccinazioni nel contrasto alla diffusione del virus Sars-Cov-2.
Premetto che con questo contributo non intendo iscrivermi a nessuna delle due fazioni (pro- o anti-) nelle quali ci si suole classificare in questo periodo, seguendo la tradizione tutta italica di una dicotomizzazione radicale delle posizioni risalente forse già alla lotta tra Guelfi e Ghibellini. Non è questo il ruolo dello statistico-economico (nella cui veste scrivo in questa sede), il quale, invece, si limita a portare argomenti empirici il più possibile obiettivi, sui quali chiunque è poi libero di formarsi la propria opinione se privato cittadino, e di prendere decisioni empiricamente fondate se decisore politico.
In tal senso è essenziale, in primo luogo, prendere atto del diverso comportamento rispetto al virus che si registra in soggetti vaccinati e in soggetti non vaccinati (siano essi non vaccinati per necessità o per scelta). Da questo punto di vista, gli ultimi dati rilasciati dall’Iss consentono di distinguere tre categorie di individui (il dettaglio è in realtà maggiore, ma per semplicità qui ci limitiamo a queste 3 categorie), ovvero:
a) individui non vaccinati;
b) individui vaccinati con ciclo completo;
c) individui vaccinati con la dose aggiuntiva (booster). Quest’ultimo dato è riportato qui per completezza anche se ancora il numero ridotto di inoculazioni della dose aggiuntiva non consente generalizzazioni affidabili.
In particolare, il dato riportato nella Tabella 3 del bollettino dell’Iss a pagina 18 si riferisce alla popolazione italiana con più di 12 anni (e quindi soggetta al piano vaccinale) osservata nel mese di ottobre 2021. Effettueremo il confronto fra le tre predette categorie rispetto a 5 indicatori, ovvero:
1. l’incidenza del virus, data dal numero di nuovi casi diviso il totale della popolazione;
2. il tasso di ospedalizzazione, fornito dal numero di ricoveri diviso il numero di persone infette;
3. il tasso di ricovero in terapia intensiva, calcolato come il numero di ricoveri in terapia intensiva diviso il numero di persone infette;
4. la letalità, espressa come la percentuale di decessi sul totale delle persone infette;
5. la mortalità, corrispondente alla percentuale di decessi sul totale della popolazione.
Sulla base del citato bollettino dell’Iss, nel periodo di osservazione si rileva quanto segue.
L’incidenza per i non vaccinati è stata dello 0,48 %, ovvero di circa 5 casi su mille. Essa diminuisce drasticamente per i soggetti vaccinati con due dosi scendendo allo 0,12% (circa 1 caso ogni mille) e diminuisce ulteriormente nel caso di soggetti sottoposti alla dose aggiuntiva nei quali scende allo 0,09%.
Il tasso di ospedalizzazione, invece, è del 7% per i non vaccinati (7 ricoverati ogni 100 infetti), e si dimezza quasi per i vaccinati con ciclo completo, passando al 4% (ogni 100 infetti 4 devono ricorrere a cure ospedaliere). Per i soggetti sottoposti a booster il valore è del 5% (ma nel periodo esaminato ci sono stati solo 17 casi, troppo pochi per consentire conclusioni affidabili).
Inoltre, il tasso di ricovero in terapia intensiva dei soggetti infetti è dello 0,9% per i non vaccinati (ovvero 9 casi ogni 1.000 infetti sprovvisti di vaccino devono ricorrere alla terapia intensiva). Esso scende allo 0,3% per i vaccinati con ciclo completo (3 casi ogni mille malati), valore che resta stabile per i soggetti sottoposti alla dose aggiuntiva (ma si è registrato solo 1 caso nel mese di ottobre).
Nello stesso periodo, il tasso di mortalità da Covid-19 è stato dello 0,004% (40 decessi ogni milione di individui) per i non vaccinati, e si riduce allo 0,0006% (6 decessi ogni milione di individui) per i vaccinati e a zero per chi ha ricevuto la terza dose (nessun caso di decesso nel mese di ottobre).
Infine, per quel che concerne la letalità del virus, tale valore nel mese di ottobre è stato dello 0,89% per i non vaccinati (8,9 decessi ogni 1.000 infetti) e il valore scende allo 0,73 per i soggetti sottoposti al vaccino (7,3 decessi per ogni 1.000 individui infetti) e a zero per chi ha ricevuto anche la dose aggiuntiva. I dati precedenti forniscono un quadro abbastanza preciso del diverso comportamento degli individui vaccinati e non vaccinati da un punto di vista della pericolosità del virus e del ricorso alle cure da parte del sistema sanitario.
Ma è possibile anche valutare quale siano i costi economici legati ai due gruppi di individui considerati? A tal riguardo, l’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari (Altems) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore nella sua sede romana, pubblica regolarmente un Rapporto sul Covid-19 nel quale, oltre a monitorare l’andamento della pandemia dal punto di vista sanitario, si occupa anche di valutarne l’impatto economico. In particolare, in uno dei suoi ultimi rapporti, Altems ha stimato qual è il costo aggiuntivo per il sistema sanitario dovuto alle mancate vaccinazioni.
Infatti, sulla base delle considerazioni più sopra espresse, come si è visto, un soggetto non vaccinato ha una più elevata probabilità di infettarsi e successivamente di dover ricorrere a ospedalizzazione e a ricovero in terapia intensiva. Inoltre, essendo sprovvisti del green pass, i soggetti non vaccinati devono sottoporsi con cadenza regolare a tamponi per poter svolgere la propria attività lavorativa, per attività sportive o altro.
Più specificatamente i dati dell’Iss consentono di calcolare i tassi di ospedalizzazione e di ricovero in terapia intensiva per diverse fasce d’età distintamente per vaccinati e non vaccinati. Se si considera la differenza tra questi valori, si ricava una stima del numero dei ricoveri che non sarebbero stati necessari se tutta la popolazione fosse stata vaccinata. Moltiplicando poi queste stime per il costo giornaliero di un letto in ospedale (709,72 euro) e (rispettivamente) per un ricovero in terapia intensiva (1.680,59 euro) e poi questi ultimi per il periodo medio di degenza nelle due strutture (11,3 giorni e 14,9 giorni al mese rispettivamente), si ha infine una valutazione del costo aggiuntivo dovuto alla mancata vaccinazione del 100% della popolazione over 12.
Tale calcolo, al 24 ottobre, ha portato a stimare circa 2.281 ricoveri in più al mese e 291 persone al mese che non sarebbero dovute ricorrere in terapia intensiva se fossero state vaccinate. Ciò porta alla stima di un aggravio di circa 900mila euro dovuto alle mancate vaccinazioni per ogni giorno di degenza per un totale di circa 27 milioni e 526mila euro al mese.
Per quel che riguarda, invece, il costo dei tamponi, si è considerata una media di 2 tamponi settimanali per i circa 4 milioni e mezzo di lavoratori sprovvisti di green pass e per i circa 800.000 ragazzi e ragazze di età tra i 12 e i 19 anni che praticano attività sportive. Al costo di 15 euro a tampone per gli adulti e 8 euro per i giovani nella classe di età da 12 a 18 anni ciò porta a una stima giornaliera di circa 1 milione e mezzo di tamponi in più teoricamente necessari (un numero virtuale non sostenibile allo stato attuale delle cose dal punto di vista organizzativo) e un costo aggiuntivo di 21 milioni al giorno pari a 630 milioni al mese. Il totale delle due voci di costo (aggravio del sistema sanitario più incremento dei tamponi) è di circa 657 milioni al mese.
Guardiamo ora l’altra faccia della medaglia. Quale sarebbe il costo aggiuntivo di una vaccinazione universale? Ci riferiamo all’ipotesi di una vaccinazione universale comprensiva di terza dose, sulla base dell’esperienza osservata in queste settimane, ad esempio, in Israele. Un vaccino ad oggi, dopo i recenti rincari, costa circa 20 euro a dose (19,50 euro per Pfizer e 22,28 euro per Moderna). Pertanto, se si sottoponessero a 3 dosi coloro che sono attualmente sprovvisti di vaccino (che sono ad oggi circa 7 milioni), ciò comporterebbe una spesa aggiuntiva di 420 milioni rispetto all’attuale piano vaccinale.
In conclusione, quindi, da un punto di vista economico, una vaccinazione universale in terza dose comporterebbe una spesa aggiuntiva di 420 milioni di euro per le somministrazioni e un risparmio di circa 650 milioni al mese per i ricoveri e i tamponi non necessari.
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