Si intravede ormai la luce in fondo al tunnel in cui siamo sprofondati nell’ultimo anno. L’inattesa rapidità con cui la scienza ha sviluppato un vaccino efficace contro il Sars-Cov-2 costituisce l’arma con cui affrontare con cauta speranza la pandemia che ha devastato il mondo pre-Covid.

L’Italia è stata colpita dal Covid-19 il 20 febbraio 2020 e in pochissimi giorni abbiamo imparato a conoscere l’effetto dirompente di una pandemia incontrollata.



A che punto siamo oggi e cosa è successo in questo singolare e terribile anno?

La prima ondata è stata inaspettata e ha avuto il tempo di diffondersi senza misure difensive quali il distanziamento sociale e le mascherine. L’assenza di un sistema di contact tracing, le difficoltà di reperire i dispositivi di protezione individuale, la carenza rispetto al bisogno di posti letto in terapia intensiva e alcune scelte adottate da una politica pavida e inconsistente hanno faticato a contenere la crescita esponenziale dei casi conclamati. Si è arrivati così ad un livello esasperato di stress del sistema sanitario, che si è salvato solo grazie all’encomiabile sforzo di medici e infermieri, scontando drammaticamente un numero di decessi che mai ci saremmo aspettati in assenza di una guerra.



I due mesi di restrizioni e, probabilmente, la minore virulenza estiva, hanno imposto una tregua tra giugno e settembre. Sarebbe stato sufficiente leggere il lavoro dei ricercatori dell’Imperial College di Londra, solo per citare un esempio, per capire che un rilassamento nelle misure di contenimento avrebbe portato ad un nuovo e più aggressivo picco epidemico. Tra virus clinicamente morti, “banchi a rotelle” e “bisogna riaprire” questa seconda ondata è peggiore della prima. Tutte le regioni hanno così sperimentato il significato di un sistema sanitario sotto stress con l’aggravante del dato di mortalità che ha registrato numeri maggiori rispetto alla prima ondata. Se fino a settembre si sono registrati circa 35.000 decessi, nei successivi mesi i morti sono stati oltre 75.000. Questo dato, che risente sicuramente di una maggiore capacità di tracciamento, dipende anche dalla scelta di affrontare la seconda ondata attraverso il sistema dei colori, invece che con un lockdown simile a marzo 2020. Questo nuovo approccio alla pandemia trova riscontro e sintesi nel grafico seguente.



Il grafico prende in considerazione le 4 regioni più colpite e confronta l’andamento nelle due ondate del numero di ospedalizzazioni e di ricoveri in terapia intensiva. Due osservazioni immediate: 1) la seconda ondata in Lombardia sembra aver avuto un impatto meno dirompente rispetto alle altre regioni; 2) il sistema a colori non consente di flettere le curve fino a congelare la diffusione del virus e chi per più tempo è rimasto in zona gialla (ad esempio il Veneto) ha avuto una crescita costante fino all’adozione di misure più stringenti. La zona rossa funziona, ma non appena si allentano le misure, il contagio ricresce e gli ospedali tornano a riempirsi.

Un’altra cosa che ben conosciamo è la relazione tra contagi, ricoveri e decessi. Sono tre misure che si muovono con tempi diversi: prima crescono i contagi, poi si riempiono gli ospedali e infine aumentano i decessi. L’andamento di queste misure è prevedibile, come dimostra il risultato di un progetto di ricerca finanziato da Regione Lombardia in cui abbiamo sviluppato un modello scientificamente solido e affidabile nel prevedere l’andamento dei ricoveri (l’applicazione in real time è fruibile qui). Pur tuttavia, esso non ha mai trovato applicazione.

Fuor di polemica, in questa seconda ondata, non si è tenuto conto di queste relazioni arcinote e così le prime deboli misure di contenimento che hanno caratterizzato ottobre si sono rivelate insufficienti e il virus ha avuto un’altra volta l’opportunità di propagarsi quasi indisturbato. È bastato aspettare il tempo necessario e il sistema sanitario è stato nuovamente sovraccaricato e abbiamo iniziato a contare centinaia di decessi giornalieri. La decisione di non serrare le fila come a marzo 2020 ha consentito di mantenere viva parte dell’economia, ma si è deliberatamente deciso di accettare una crescita in termini di morti, che sono lutti familiari, non una statistica.

Il governo Draghi ha deciso di mantenere le colorazioni, escludendo saggiamente la zona gialla che non funziona, ed è incredibile (o opportunistico) che qualcuno ancora non l’abbia capito. Questa scelta ha consentito al momento di raffreddare il contagio, portandoci oggi su una sorta di altopiano, dal quale scenderemo solo mantenendo le attuali chiusure e rafforzando la campagna vaccinale.

Se si confermerà che l’estate placa la diffusione del virus, se riusciremo a vaccinare a breve le fasce più a rischio di ospedalizzazione e decesso (over 70) e se non appariranno varianti resistenti al vaccino, possiamo essere cautamente ottimisti che a maggio/giugno ci saremo lasciati alle spalle questo anno di Covid.

Merita una riflessione finale la campagna vaccinale, dove sembrano troppe le somministrazioni erogate agli under 80. Guardando i numeri degli over 80 dichiarati dal sito del Governo si evince che su 11 milioni di dosi somministrate solo il 38% è stato erogato agli over 80, che incomprensibilmente sono stati lasciati indietro a favore di altre categorie meno a rischio (insegnanti e universitari, ad esempio) quando era evidente (Israele e Regno Unito lo confermano) che i vaccini andassero erogati per rischio clinico.

Scelte scellerate come questa sono direttamente causa dei 400 morti giornalieri (come la sospensione di AstraZeneca per le verifiche di Ema con 7 morti su milioni di vaccinati nel mondo), ma in questo paese sembra non interessare a nessuno.

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