“Meglio prevenire che curare” è una frase che abbiamo spesso sentito pronunciare. Oltre che dalla saggezza popolare essa deriva originariamente dal motto latino “longe præstantius est præservare quam curare” contenuto nel saggio De morbis artificum diatriba scritto da Bernardino Ramazzini, accademico modenese della seconda metà del Seicento e medico della corte estense. Il Ramazzini evidenziò nei propri studi la necessità di evitare gli estremi di ogni genere seguendo uno stile di vita equilibrato, controllando le passioni dell’animo e praticando costante attività fisica. La prescrizione del Ramazzini, per estensione, è stata da sempre applicata anche a campi diversi da quello strettamente sanitario che aveva in mente l’autore, ad esempio nel contenimento del crimine, delle deviazioni sociali e di molti altri fenomeni. Molti ricordano a riguardo il racconto di Philip Dick Minority report, reso celebre dall’omonimo film diretto da Stephen Spielberg, nel quale, appunto, la squadra pre-crimine interviene (sulla base delle premonizioni dei Precog dotati di poteri psichici di precognizione), prima che il crimine venga compiuto.



Non stupisce dunque che, anche nell’affrontare la sfida mondiale del Covid-19, ci si sia rivolti in via prevalente alla prevenzione della diffusione del virus piuttosto che alla sua cura, utilizzando le due armi che abbiamo a disposizione: il distanziamento sociale e l’igiene in primis e, in secondo luogo, la ricerca di un vaccino secondo i tempi dettati dalla ricerca e dalla necessaria sperimentazione.



Un simile approccio fu seguito con meno fortuna nel momento dell’esplosione della pandemia di Aids derivante dalla diffusione del virus Hiv-1 negli anni 80.

Chi ha ricordi dell’epoca certamente non ha dimenticato quante speranze anche allora furono riposte nell’identificazione di un vaccino inizialmente annunciato come possibile nel giro di qualche anno. Con il virus apparso per la prima volta nel giugno del 1981, in realtà, fu solo 15 anni dopo, nel 1996, che fu messa in commercio la prima terapia efficace nell’arrestarne gli effetti mortali mentre ancora ad oggi non disponiamo di un vaccino.



Nel caso del Covid-19, invece, per nostra fortuna, il vaccino è arrivato a tempo di record e forse proprio per questo a molti è sembrato troppo bello per essere vero, sollevando in taluni ipotesi di complotti di varia natura che vanno dalla teoria del virus creato in laboratorio dalle case farmaceutiche ai sospetti di averne lanciato la diffusione utilizzando i primi vaccinati come cavie da laboratorio. In effetti, una quota della popolazione stimata intorno al 10% ancora non sembra convinta e percepisce i vaccini come non sicuri o non necessari.

Nel caso specifico del Covid-19, poi, “prevenire è meglio che curare” per due ulteriori motivi assolutamente non trascurabili. In primo luogo perché il Coronavirus lascia pesanti strascichi nelle persone infettate, con lunghe riabilitazioni e danni sulla loro salute ancora non perfettamente noti nel lungo periodo. In secondo luogo per un mero calcolo economico: una dose di vaccino costa infatti tra i 2 (Astra Zeneca) e i 18 euro (Moderna) mentre, ad esempio, una dose del farmaco Remdesevir (la cui efficacia ancora non è peraltro approvata dalla Organizzazione mondiale della sanità) ne costa 2mila.

A tempo di record, dicevamo. In effetti, a pochi mesi dal primo apparire del virus nella città Wuhan in Cina (intorno a metà di dicembre del 2019), i primi vaccini anti-Covid vengono annunciati già verso la fine del 2020 e ad oggi sono ben 12 i farmaci autorizzati da almeno un’autorità nazionale. Di questi, due sono di tipo Rna (Pfizer-BioNTech e Moderna), 4 sono di tipo inattivato convenzionale (Bbibp-CorV, BBV152, CoronaVac e CoviVac), 4 sono a vettore virale (Sputnik V, Astra Zeneca, Ad5-nCoV, Johnson&Johnson) e gli ultimi due sono i cosiddetti vaccini a subunità proteiche (EpiVacCorona e ZF2001).

A cautela dell’efficacia reale di tali vaccini, la Food and Drug Administration (Fda) statunitense e l’Agenzia europea per i medicinali (Ema) hanno concordato una soglia minima del 50% richiesta per la loro approvazione. I vaccini utilizzati in Italia superano ampiamente tale soglia: Pfizer-BioNTech ha un’efficacia del 95%, Moderna del 95,6%, AstraZeneca un valore intorno al 76%.

La campagna vaccinale sta procedendo spedita in tutto il mondo sia pure a diverse velocità. Ad oggi, nel mondo, sono state somministrate un totale di circa 508 milioni di singole dosi con 114 milioni di individui ormai completamente vaccinati. Israele è lo Stato con il rapporto più elevato tra dosi somministrate e popolazione: oltre al 55% è stato trattato con almeno una dose e circa il 40% della popolazione (tra cui l’80% degli over 60) è già completamente vaccinato. Gli effetti di questa campagna vaccinale sono evidenti: il ministero della Salute israeliano ha evidenziato da inizio anno un calo del 41% delle infezioni per gli ultra 60enni e un calo del 31% dei ricoveri totali.

In Europa tra i paesi maggiormente efficienti emerge il Regno Unito con un numero di vaccinati corrispondente a 29 milioni di prime dosi (il 54% della popolazione adulta) e con circa 2,8 milioni di persone totalmente vaccinate. La campagna procede al ritmo straordinario di 27 vaccinati al secondo!

Va osservato che a seguito di tale massiccia campagna vaccinale (e anche, va ricordato, di un severo lockdown generalizzato a partire dal 4 gennaio), il Regno Unito, che il 19 gennaio aveva registrato un picco di 1.361 decessi giornalieri, ha iniziato una rapida decrescita che ha fatto scendere il 22 marzo tale numero a 17. La campagna vaccinale britannica è stata preparata da tempo. Già nel maggio del 2020 il governo britannico aveva prenotato 447 milioni di dosi di vaccini dai vari produttori nel caso questi si fossero rivelati efficaci. Oggi il premier Boris Johnson prevede che il 21 giugno il Regno Unito sarà fuori dalla pandemia.

Anche gli Usa procedono a ritmo spedito con 87 milioni di dosi amministrate finora (il 26,61% della popolazione) e 48 milioni di vaccinazioni completate nelle due dosi (il 14,45% della popolazione) ad un ritmo di 2,5 milioni al giorno nell’ultima settimana. E dopo la promessa fatta ad inizio mandato di vaccinare 100 milioni di americani nei primi 100 giorni del suo mandato, Biden oggi rilancia affermando che nello stesso arco di tempo si arriverà a ben 200 milioni: due terzi dell’intera popolazione degli Stati Uniti.

Come si posiziona l’Italia in questa corsa alla vaccinazione di massa?

A parte i due casi già menzionati degli Usa e del Regno Unito, il nostro paese si posiziona bene e viaggia ad un ritmo paragonabile a quello registrato negli altri paesi Ue, come mostra la figura 1.

In effetti, dal sito ufficiale del nostro Governo, emerge come siano state effettuate finora un totale di 8.765.085 inoculazioni e che le persone vaccinate con due dosi sono 2.787.749 con un ritmo che, ad oggi, è di 172.837 dosi giornaliere.

Facciamo un po’ di conti.

La popolazione che è necessario raggiungere per ottenere l’agognata immunità di gregge è di circa 42 milioni (70% della popolazione). A questo numero va sottratto chi è già immunizzato essendo entrato in contatto con il virus. Il dato ufficiale della protezione civile parla di 3.361.000 infetti conclamati, ma tale numero sale a circa 10 milioni se si considerano anche gli asintomatici non verificati (stima Covstat) i quali sono concentrati nelle fasce di età giovanili che saranno comunque vaccinate per ultime (in tal senso sarebbe comunque opportuno sottoporre gli individui ai test antigenici prima di somministrare il vaccino al fine di evitare di vaccinare persone già immunizzate). Il numero magico scende dunque a circa 32 milioni.

Di questi, 2.787.749, come detto, sono già stati vaccinati, e resterebbero quindi da vaccinare al più presto poco più di 29 milioni di individui.

Con questi numeri (al ritmo attuale di 172.837 inoculazioni giornaliere) l’immunità di gregge sarebbe raggiunta in 295 giorni ovvero al principio di gennaio del 2022. Se, invece, come annunciato, si passasse ad un ritmo di 500mila somministrazioni al giorno a partire da metà aprile, la soglia desiderata potrebbe essere raggiunta molto prima, già nella prima metà di luglio. Sarebbe un risultato importantissimo perché consentirebbe di contrastare adeguatamente un’eventuale quarta ondata autunnale. Non è inoltre purtroppo da escludere che il vaccino debba essere ripetuto. Ad oggi l’immunità è valutata intorno agli 8 mesi, quindi i primi vaccinati potrebbero dover essere vaccinati di nuovo in settembre. È quindi essenziale terminare il primo ciclo di vaccinazione prima di doverne ripetere la somministrazione.

Il vero problema non sembra essere quello della distribuzione delle fiale (sono già operativi ben 1960 punti di somministrazione su tutto il territorio nazionale), quanto quello della disponibilità effettiva delle dosi. Nella figura 2 riportiamo il piano di approvvigionamento dei vaccini. Se gli impegni delle case farmaceutiche saranno rispettati in pieno, come tutti ci auguriamo, alla fine di giugno avremo avuto a disposizione 68 milioni di fiale, un dato che corrisponde a circa 38 milioni di vaccinati in virtù della somministrazione singola richiesta dal nuovo vaccino Johnson&Johnson.

Tale numero di somministrazioni sarebbe più che sufficiente a raggiungere l’obiettivo del 70% della popolazione che ci siamo prefissati.

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