L’Istat ha recentemente certificato che nel 2020 si sono verificate 746.146 morti per qualsiasi causa di morte, a fronte di 645.620, numero medio di morti nel quinquennio 2015-2019. Questo ha comportato 100.526 morti in più, pari ad una variazione relativa percentuale del +15,6%. Questi morti in eccesso sono in gran parte dovuti alla pandemia, come ben si può vedere dalla Figura 1, la quale riporta il numero di morti nel 2020, quello medio negli anni 2015-19 e la variazione percentuale relativa, per ogni settimana del 2020.



L’effetto della pandemia è evidente e innegabile: nella settimana del 29 marzo 2020 si sono verificate oltre 23mila morti con un incremento del 72% rispetto ai 5 anni precedenti, mentre nella settimana successiva l’incremento è stato addirittura del +85%! Il peso di tale concentrazione temporale sul sistema sanitario, come si sa, è stato pesante e innegabile.



Le diverse regioni e fasce d’età sono state tuttavia colpite in maniera differente dal fenomeno. Si veda a questo riguardo la Tabella 1.

Alcune regioni hanno subìto incrementi nel numero di morti relativamente piccoli, compresi tra il 4 e il 6%, a fronte di regioni come la Lombardia dove l’incremento è stato del 36,6%. Tutte le regioni del Centro-Sud hanno subìto un aumento inferiore alla media nazionale, assieme al Friuli-Venezia Giulia, unica regione del Nord a collocarsi sotto tale valore. Tutte le altre si sono collocate sopra la media.

Per quanto riguarda le fasce d’età, sotto i 50 anni tutte le fasce d’età hanno fatto registrare una diminuzione del numero di morti tra il 2 e il 25,4%, in parte causata da fluttuazioni statistiche connesse al basso numero di morti in queste fasce d’età, ma innegabilmente dovuta alle politiche di chiusura che hanno probabilmente ridotto gli incidenti domestici nelle fasce di età più giovani, in ragione della maggiore attenzione da parte dei genitori; hanno ridotto gli incidenti stradali e quelli sul lavoro. Ma questo si potrà sapere con certezza solo quando l’Istat pubblicherà le statistiche per cause di morte.



Le fasce d’età sopra i 50 anni hanno invece subìto un incremento di morti che va da un minimo del 3,5% per la fascia 50-54, ad un massimo del 36,9% per la fascia 95-99, che sembrerebbe la più colpita. Diciamo sembrerebbe, perché come si vedrà più avanti, il dato si presta a interpretazioni alternative differenti.

Innanzitutto, si consideri che tra la media del quinquennio 2015-19 e l’anno 2020 la struttura della popolazione (valutata al 1° gennaio) è alquanto mutata. La Figura 2 mostra questo fenomeno.

È interessante osservare come tutte le fasce d’età inferiori ai 50 anni abbiano subìto una riduzione con punte dell’8-9% per la fascia 0 anni e per quelle dai 35 ai 44 anni. Viceversa, quasi tutte le fasce d’età oltre i 50 anni hanno visto un incremento, con una punta massima del 31,9% per la fascia 95-99 e del 10,3% per quella 70-74. È questo il ben noto effetto del fenomeno dell’invecchiamento della popolazione. Ma proprio tale effetto suggerisce che parte del numero di morti in più osservati nel 2020 rispetto ai 5 anni precedenti potrebbero essere dovuti al fenomeno dell’invecchiamento della popolazione piuttosto che alla pandemia. Per capire quale possa essere il problema si consideri il seguente esempio.

Variazione dei morti o variazione del tasso di mortalità?

Supponiamo di voler comparare la “mortalità” di un anno t1 rispetto a quella di un anno precedente t0. Immaginiamo di prendere una fascia di età. Tanto per fissare le idee, 95-99. Supponiamo che lo stock di popolazione e il numero di morti nei due anni siano quelli indicati nella Tabella 2.

Nell’anno t0 la popolazione nella fascia di età prescelta è pari a 1.000, mentre nell’anno t1 è pari a 1.500, con un aumento del 50%. Il numero di morti nell’anno t0 è pari a 100, mentre nell’anno t1 è pari a 150, con un aumento che pure in questo caso è del 50%. Ma se si va a guardare il tasso di mortalità nei due anni, dato dal rapporto morti/popolazione, si rileva che in entrambi gli anni è del 10%. Quindi il tasso di mortalità non è variato! Se nell’anno t1 ci fosse stata una pandemia potremmo dire che questa abbia avuto effetto sulla mortalità?

Il tasso di mortalità annuale rappresenta, in buona sostanza, la probabilità che un individuo di quella fascia di età ha di morire nell’anno considerato: tale probabilità non è cambiata nell’esempio considerato, quindi la pandemia non ha avuto nessun effetto su di essa, e l’aumento del 50% della mortalità è, evidentemente, dovuto solo all’aumento della popolazione in quella fascia d’età, che in effetti è stato proprio del 50%.

Quello che vogliamo dire qui è che considerare, ai fini della valutazione dell’impatto dell’epidemia e delle politiche di chiusura, la variazione relativa dei morti tra il 2020 e la media del quinquennio precedente, in vista delle notevoli variazioni della popolazione per le diverse fasce d’età, evidenziate in Figura 2, può risultare fuorviante. La Tabella 3 riporta i dati reali Istat osservati per la media del quinquennio 2015-19 e per il 2020 per la fascia d’età 95-99.

Come si può vedere dalla Tabella 3, nonostante la variazione relativa dei morti sia stata del +36,9% (come riportato anche nella Tabella 1), il tasso di mortalità per la popolazione in questa fascia di età è passato dal 32,9% al 34,2% con un incremento assoluto di appena l’1,2% ed un incremento relativo del 3,7%, ben distante dal valore di +36,9% della variazione relativa dei morti, che evidentemente è essenzialmente dovuto all’aumento di popolazione in questa fascia di età che è risultato del +31,9%. In pratica, la pandemia avrebbe fatto aumentare le probabilità di morte di un 95-99enne veramente molto poco, contrariamente a quello che è l’idea diffusa in questi mesi attorno alla questione.

Da un punto di vista metodologico, la spiegazione di questa apparente contraddizione è legata al fatto che la variazione relativa del numero dei morti, che indicheremo con V(M), è legata alla variazione relativa del tasso di mortalità V(T) e a quella della popolazione V(P), dalla seguente relazione algebrica di facile dimostrazione:

(1) V(M) = V(T) + V(P) [1+V(T)]

Per cui V(M) = V(T) solo se V(P) = 0 ovvero solo se la popolazione è stabile nel tempo (a parte il caso limite molto strano in cui V(T)=-1). Ma come mostra la Figura 2, questa stabilità nel tempo tra la media del quinquennio 2015-19 e 2020 non si è verificata, salvo che per qualche classe d’età.

Pensare quindi che la variazione relativa del numero di morti possa rappresentare la variazione relativa del tasso di mortalità, cioè della probabilità che un individuo di una certa fascia di età abbia di morire, è sbagliato, ed il calcolo sulla fascia d’età 95-99 ne è una dimostrazione.

Assieme alla variazione del numero di morti, che indubbiamente costituisce un indicatore indiretto del sovraccarico al cui è stato sottoposto il nostro sistema sanitario (meglio rappresentato tuttavia dall’incremento dei ricoveri), sarebbe opportuno che il sistema informativo nazionale e la stampa fornissero indicazione di quale sia stata la variazione del tasso di mortalità, poiché questo ci fa capire l’impatto della pandemia. Alle persone interessa sapere quanto sia cambiata, in seguito al Covid e alle politiche di restrizione, la propria probabilità di morte, e non tanto il numero di morti, un dato questo che dipende, come mostra la formula (1), anche dalla variazione della popolazione indotta dal fenomeno dell’invecchiamento.

La Figura 3 riporta entrambi gli indicatori per le diverse fasce d’età. A parte il caso già esaminato della fascia 95-99, le differenze sono veramente grandi. Si prenda ad esempio la fascia di età 70-74: la variazione relativa dei morti è +24,4%, mentre la variazione relativa del tasso di mortalità è +12,8% (la metà). Invece per gli ultracentenari, mentre la variazione dei morti ci fornisce un incremento relativamente contenuto, quella del tasso di mortalità ci dice che si tratta della fascia che ha subìto il maggiore danno dalla pandemia, tra le fasce di età over 50, le uniche nelle quali il tasso di mortalità sia aumentato.

Nella Figura 4 sono riportate le variazioni relative del tasso di mortalità, per fasce d’età e sesso. Come si può rilevare, nelle fasce di età fino a 44 anni si osserva una riduzione della probabilità di morte, con punte di oltre il -20% nelle fasce 1-9 e 15-19, fenomeno da indagare ulteriormente, ma ascrivibile probabilmente al minor numero di incidenti casalinghi (maggiore cura familiare dovuta alla presenza costante dei genitori) e stradali (riduzione del traffico a seguito delle chiusure) e incidenti sul lavoro. Piccolo aumento per le femmine nelle fasce 15-19 e 30-34 (femminicidi?).

Le fasce di età che invece hanno avuto un aumento nella probabilità di morte sono quelle oltre i 50 anni, con un picco per i maschi nella fascia 70-74 e per le femmine nella fascia 100+. L’aumento per le femmine nelle fasce oltre i 50 è generalmente più contenuto rispetto a quello dei maschi, fino ad 84 anni, mentre è superiore a quello dei maschi nelle fasce da 85 in su.

Da sottolineare di nuovo il basso livello di incremento del tasso di mortalità nella fascia 95-99, in particolare per i maschi (solo +2%). Questi dati suggerirebbero che se la campagna vaccinale avesse dovuto iniziare dalle fasce di età più colpite queste sarebbero state quelle da 70 a 79 anni (oltre quella degli ultracentenari), che invece si sono trovate doppiamente svantaggiate.

Variazione del tasso di mortalità a livello nazionale e regionale

Il problema della variazione relativa del tasso di mortalità a livello italiano e a livello delle singole regioni è leggermente più complesso. Si intuirà infatti che tale valore è una media dei tassi di mortalità (che vengono definiti anche come “specifici”) per età e sesso di cui alla Figura 4. La complessità del problema è illustrata dal seguente esempio con riferimento alla Tabella 4.

Nella Tabella 4 abbiamo una popolazione suddivisa in due fasce di età, giovani e anziani, in due anni diversi t0 e t1. Nell’anno t0 i giovani rappresentano il 70% della popolazione e gli anziani il 30%, mentre nell’anno t1 i giovani rappresentano solo il 40%, mentre gli anziani il 60%. Il numero dei morti è riportato nella colonna d e dividendo i morti per la popolazione nella rispettiva fascia di età (e = d/b) si ottiene il tasso di mortalità specifico per le diverse fasce di età nei due anni.

Come si vede, nell’anno t1 i tassi di mortalità sono, per entrambe le fasce di età, minori dei tassi nelle rispettive fasce di età nell’anno t0. Pertanto, sarebbe ovvio concludere che il tasso di mortalità medio per l’intera popolazione sia diminuito tra l’anno t0 e l’anno t1. Invece se si dividono i morti totali per la popolazione, si ottiene che nell’anno t1 il tasso di mortalità (chiamato tasso grezzo) è pari all’8,4% contro l’8% dell’anno t0: quindi sarebbe aumentato, contraddicendo quello che invece era l’intuizione precedente (vera).

La ragione, anche qui, è legata all’invecchiamento della popolazione: la quota di popolazione anziana dove il tasso di mortalità è più alto è passata dal 30% al 60% determinando questo risultato controintuitivo. Ecco perché vengono introdotti i tassi standardizzati di mortalità, riportati nelle colonne f e g.

Questi tassi standardizzati sono una media dei tassi specifici per età di ogni anno pesati con una struttura della popolazione identica per i due anni a confronto: nella colonna f (tasso std 1) si usano le quote di popolazione al tempo t0 per pesare i tassi specifici di colonna e, mentre nella colonna g (tasso std 2), si usano le quote di popolazione al tempo t1. I tassi standardizzati che rappresentano una media dei tassi specifici nei due anni si ottengono come somma delle colonne f e g. Come si vede, nel caso si usi la struttura della popolazione al tempo t0 (colonna f), il tasso standardizzato al tempo t0 è 8%, mentre quello al tempo t1 è 5% (giustamente inferiore come ci si attendeva), mentre usando la struttura della popolazione al tempo t1 (colonna g) il tasso standardizzato al tempo t0 è 11% contro 8,4% al tempo t1 (giustamente inferiore come atteso).

Usando il tasso grezzo ai fini del confronto tra i due anni, si sarebbe portati ad affermare che il tasso di mortalità ha subito un aumento del 5%, mentre in realtà la variazione è stata di segno diametralmente opposto.

Per calcolare pertanto il tasso medio di mortalità a livello italiano e regionale nel 2020 e per la media del quinquennio precedente, al fine di calcolare la variazione relativa del tasso medio, è necessario scegliere una struttura di popolazione identica per i due periodi: come visto dalla Figura 2, la struttura nei due periodi infatti è cambiata sostanzialmente per effetto dell’invecchiamento della popolazione. Si è proceduto pertanto al calcolo dei tassi standardizzati nel 2020 e nel quinquennio precedente, assumendo come struttura della popolazione quella totale (maschi + femmine) al 1° gennaio 2020. I risultati del calcolo delle variazioni relative dei tassi standardizzati nel due periodi sono riportati nella Figura 5.

Come si può vedere, a livello nazionale il tasso di mortalità totale è aumentato dell’8,3% (ben lontano dal +15,6% del numero di morti): il dato è ottenuto come media aritmetica delle variazioni dei tassi per i maschi (9,1%) e per le femmine (7,5%).

Dalla figura emerge che ci sono due regioni, Lazio e Calabria, dove si è assistito addirittura ad una riduzione del tasso di mortalità rispetto al quinquennio 2015-19. Altre regioni come Campania, Basilicata, Sicilia e Umbria hanno visto una stabilità nel tasso rispetto ai 5 anni precedenti; altre ancora come Molise, Abruzzo, Toscana, Sardegna hanno subìto incrementi inferiori al 4%. Il Friuli-Venezia Giulia ha sperimentato un incremento di circa il 6% (+12,6% nel numero di morti) sia per maschi che per femmine, comunque inferiore alla media nazionale, unica regione del Nord in questo. Tutte le regioni del Nord hanno subìto incrementi superiori alla media nazionale: in testa la Lombardia con un +25% di incremento nel tasso di mortalità, dato che comunque è abbastanza distante dal +36,9% nel numero di morti.

Conclusioni

Abbiamo visto che il dato sulla variazione complessiva dei morti (+15,6%), risulta molto distante da quello sulla variazione media del tasso di mortalità (+8,3%). Il primo dato fornisce un’idea del peso che il nostro sistema sanitario ha dovuto sostenere, in quanto questi 100mila morti in più, che si sono verificati essenzialmente nei periodi di picco della pandemia (Figura 1), sono passati praticamente tutti attraverso il sistema sanitario, che ovviamente ha dovuto farsi carico anche del ben più nutrito numero di ricoveri per Covid di persone che poi sono guarite.

Il dato sull’incremento del tasso di mortalità (+8,3%), relativamente basso, è la media di una situazione completamente diversa tra le fasce di età: i minori di 50 anni hanno goduto di una riduzione del tasso di mortalità, mentre oltre i 50 anni l’incremento è arrivato anche al 15%.

La variazione del tasso di mortalità suggerirebbe che la campagna vaccinale avrebbe dovuto iniziare dalle fasce di età più colpite da questo incremento, ovvero 70-79 anni (oltre quella degli ultracentenari), che invece si sono trovate doppiamente svantaggiate: massima variazione e senza vaccino.

L’ordine di grandezza così diverso dei due indicatori – variazione dei morti e variazione del tasso di mortalità (uno doppio dell’altro) – fa capire che la gravità della pandemia possa apparire diversa a seconda del criterio che si sceglie per descriverne gli effetti, e che adottare il primo, pensando che rappresenti il secondo, è completamente fuorviante.

Inoltre, il primo indicatore dipende in maniera sostanziale dalla variazione della popolazione indotta dall’invecchiamento, elemento che non ha niente a che vedere con la pandemia e le politiche messe in atto. In alcune regioni il tasso di mortalità nel 2020 è stato addirittura inferiore a quello dei 5 anni precedenti, moltissime regioni hanno subìto incrementi contenuti e solo le regioni del Nord hanno avuto un sensibile incremento della mortalità.

Questi dati gettano una luce meno fosca sulla vicenda pandemica, rispetto a quanto in genere si sia portati a pensare: sarebbe opportuno che il sistema informativo nazionale e la stampa fornissero indicazione di quale sia stata la variazione del tasso di mortalità, poiché questo ci fa capire l’impatto della pandemia. Alle persone interessa sapere quanto sia cambiata, in seguito al Covid e alle politiche di restrizione, la propria probabilità di morte, e non tanto il numero di morti, un dato questo che dipende, come dimostrato, anche dalla variazione della popolazione indotta dal fenomeno dell’invecchiamento.

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