Ancora più di 15mila nuovi casi di coronavirus in Italia, con un tasso di positività che torna a crescere dell’11% (+1,8% rispetto al 9,2% del giorno precedente). Nelle ultime 24 ore, a fronte del calo delle terapie intensive (-41) e dei pazienti ricoverati negli altri reparti Covid (-206), si sono registrati 352 decessi, che portano il totale a 68.799 dall’inizio della pandemia. “Ma i dati che vengono pubblicati – osserva Francesca Bassi, professore associato di Statistica economica al Dipartimento di Scienze statistiche dell’Università di Padova – sono la sommatoria di andamenti locali molto diversi tra loro, dovuti, come sostengono gli ecologi, a relazioni di tipo biologico tra gli individui più che di natura amministrativa”.



Gianni Rezza, direttore della prevenzione del ministero della Salute, ha dichiarato che l’incidenza e l’Rt tendono a non scendere più. Quali potrebbero essere le cause?

L’indice Rt misura la capacità di diffusione di un’epidemia. La sua stima dipende dal modello epidemiologico scelto per descrivere e prevedere l’andamento del fenomeno. È funzione dei due parametri del modello, uno che misura la velocità di trasmissione del virus e uno che tiene conto del tempo necessario per la guarigione (o, purtroppo, il decesso). Quello che possiamo vedere in questi ultimi giorni analizzando i dati sui contagi giornalieri forniti dal sito della Protezione civile è una lieve risalita della curva dei nuovi positivi nel nostro paese, curva che aveva assunto un andamento francamente decrescente ormai dalla metà del mese di novembre. L’indice Rt è strettamente correlato all’andamento delle nuove infezioni oltre che a quelle ancora in corso.



Per contrastare la pandemia meglio adottare zone rosse per tutto il periodo natalizio oppure alternare zone rosse e zone arancioni?

L’esperienza delle due ondate di pandemia mostra chiaramente che le restrizioni adottate hanno avuto l’effetto di ridurre sensibilmente la diffusione del contagio dopo alcuni giorni dalla loro attuazione. Più le restrizioni sono state limitative, prima si è visto l’effetto e più a lungo questo effetto si è protratto nel tempo. Questa evidenza si può riscontrare chiaramente dalle curve dei contagi, dei ricoveri in reparto ordinario e in terapia intensiva di tre regioni che sono state sottoposte a provvedimenti diversi: Lombardia, Friuli-Venezia Giulia e Veneto. La regione Lombardia è stata dichiarata zona rossa il 6 novembre quanto i contagi giornalieri superavano quota 9.000. Circa 20 giorni dopo (25 novembre), la curva dei nuovi positivi ha raggiunto il suo massimo e ha cominciato a scendere decisamente. Successivamente è diminuito il numero di persone ricoverate negli ospedali (dal 30 novembre) e, qualche giorno dopo, il numero di posti occupati per Covid nelle terapie intensive. C’è da notare che, anche in Lombardia, negli ultimissimi giorni si osserva una ripresa del numero di diagnosi di positività giornaliera. In Friuli-Venezia Giulia sono state applicate le restrizioni della zona arancione il 15 novembre. I contagi giornalieri hanno continuato a crescere fino al 5 dicembre (per 20 giorni); da allora la curva sta scendendo, ma in modo non stabile. I ricoveri in ospedale e in terapia intensiva solo dal 14 dicembre (dopo un mese) sono in lieve calo. Il Veneto che è sempre rimasto in zona gialla ha contagi giornalieri, ricoveri e occupazione delle terapie intensive in continua crescita, come pure i decessi per Covid.



In questo week end un milione di persone si è messo in viaggio da Nord a Sud. Si rischia un’impennata dei contagi?

È molto difficile rispondere a questa domanda. Da statistico, non dispongo di dati o evidenze sulle quali basarmi. L’unica cosa che si può dire è che l’esperienza di questi mesi ci ha insegnato che ogni occasione di contatto che non rispetti le precauzioni del distanziamento è una fonte di rischio potenziale.

Giusto limitare il numero di persone che si ritrovano in famiglia per le feste? In questa seconda ondata sono ancora i contatti familiari che fanno da driver alla diffusione delle infezioni?

All’inizio di ottobre l’Istituto superiore di sanità ha comunicato che il 77% dei focolai di coronavirus erano, al momento presenti, all’interno delle famiglie. Anche su questo però non ci sono dati disponibili per poter fare una valutazione con riferimento al momento presente nel nostro paese.

La campagna vaccinale a inizio gennaio punterà a rendere via via Covid free alcuni ambienti, come ospedali e Rsa. Che effetti potremmo avere sulle curve di contagi, ricoveri e decessi?

I modelli epidemiologici che descrivono la diffusione delle epidemie si basano sulla suddivisione della popolazione in componenti: i cosiddetti suscettibili (ovvero contagiabili), infetti e recuperati (guariti o deceduti). Il vaccino riduce progressivamente il numero di soggetti suscettibili spostandoli nel gruppo dei guariti o immunizzati, evitando che passino per lo stato di infetti. Questo avrà un ovvio effetto di diminuzione dei contagi, poiché il numero delle nuove infezioni è legato sia al numero di coloro che sono attualmente infetti sia a coloro che sono ancora suscettibili. Ovviamente diminuiranno anche i ricoverati nei reparti ordinari e nelle terapie intensive. Ormai dalla fine della scorsa primavera la percentuale di contagiati che ha bisogno di ricovero ospedaliero è del 4% circa, di coloro che hanno bisogno di terapia intensiva dello 0,4%. Si tratta di valori percentualmente piccoli, ma che corrispondono a valori assoluti molto grandi se il numero dei positivi è elevato.

Quali sono le criticità che stanno emergendo in questa seconda ondata? E come porvi rimedio?

Dal mio punto di vista di statistico vedo una mancanza di dati adeguati a rispondere a quelle che sono le domande della gente, come quelle che mi avete appena poste e molte altre, e a sostenere le decisioni da prendersi per arginare l’epidemia, valutare l’efficacia delle restrizioni. Ogni giorno vengono pubblicate molte analisi relative all’andamento dell’epidemia da Covid-19 nel nostro Paese. La maggior parte di queste analisi consistono in previsioni dell’andamento dei contagi, dei ricoveri, dei decessi. Ci sono però altri temi interessanti, ma meno esplorati.

A cosa si riferisce?

Sono la stima dei contagi totali da coronavirus, per tenere conto dei molti pazienti asintomatici o paucisintomatici che non ricevono una diagnosi e l’analisi della diffusione del virus – prevalenza – presso sottogruppi di popolazioni specifiche, per comprendere se vi siano dei fattori o delle condizioni che favoriscono maggiormente l’infezione. Entrambe queste tipologie di analisi necessitano di informazioni sui contagi e sulle altre variabili, ricoveri e decessi in particolare, disaggregate per alcune caratteristiche dei pazienti potenzialmente rilevanti ai fini della trasmissione del virus.

I dati sulla diffusione dell’epidemia da coronavirus a disposizione del pubblico sono molti in termini di quantità. E dal punto di vista della qualità?

Per ogni giorno, a partire dal 24 febbraio 2020, è possibile trovare sul sito della Protezione civile il numero di persone con diagnosi di positività dall’inizio dell’epidemia; con infezione in corso a quella specifica data e la conseguente gestione sanitaria, ovvero il numero di ricoverati nei reparti ospedalieri ordinari e di terapia intensiva e il numero di coloro che sono curati a casa. Ogni giorno viene registrato il numero dei deceduti, dei guariti, dei tamponi effettuati e delle persone sottoposte a test diagnostico (dal 19 aprile 2020); dal 3 dicembre 2020 è riportato anche il numero di accessi giornalieri ai reparti di terapia intensiva. Tali dati sono pubblicati sia con riferimento all’intero paese, che per ciascuna della 20 regioni italiane. A livello provinciale viene reso noto solo il numero complessivo di casi diagnosticati dall’inizio dell’epidemia. I dati dunque sono molti, ma la quantità di informazione che essi veicolano non è lo altrettanto.

Perché?

Innanzitutto, per alcuni fenomeni sono noti i saldi e non i flussi: ad esempio, il numero di pazienti ricoverati ogni giorno, saldo tra gli ammessi e i dimessi o, purtroppo deceduti. Per citare un esempio, lo scorso 12 dicembre in Veneto, a fronte di una diminuzione dei ricoveri in terapia intensiva di 5 unità, vi sono stati 54 nuovi ingressi. Inoltre, tutti i dati sono aggregati, nel senso che non si sa nulla dei pazienti con riferimento alle caratteristiche sociodemografiche. Solo settimanalmente, l’Istituto superiore di sanità pubblica un rapporto che, tra altri indicatori calcolati a scopo di monitoraggio, contiene anche la ripartizione dei pazienti positivi al Covid-19 da inizio epidemia (casi totali) e dei decessi per fasce decennali d’età e genere. Azienda Zero della Regione Veneto sempre settimanalmente pubblica i casi totali, i ricoveri e i decessi per genere e fasce ventennali d’età.

Queste informazioni, seppur ridotte, sono molto preziose?

Sì. Ci permettono di esplorare un po’ più in dettaglio la pandemia. Inoltre, le semplici e prime analisi condotte con questi dati ci fanno intuire quanto più potremmo scoprire di questo fenomeno se venissero messi a disposizione dati anche solo un po’ più dettagliati relativi alle caratteristiche sociodemografiche dei pazienti. Dati, tra l’altro, che non necessitano di essere divulgati in forma individuale, senza problemi dunque relativamente alla privacy.

Altre criticità sui dati?

Altre informazioni diffuse sono purtroppo ambigue. In generale non è sempre chiaro a che cosa i numeri riportati nel database facciano riferimento. Manca una descrizione precisa delle variabili. Di questi giorni è la questione se debbano essere conteggiati solo i tamponi molecolari o anche gli antigenici. In ogni caso, quel che conta sono le persone sottoposte al test più che il numero di test fatti.

Il tasso di positività che viene commentato giornalmente dai media, costruito come rapporto tra i nuovi positivi e i tamponi processati nella giornata, è un’informazione utile?

No, è molto fuorviante. Innanzitutto, sia il valore al numeratore che al denominatore di questo tasso sono soggetti a una forte componente di variabilità nei diversi giorni della settimana. Per comprendere l’andamento della misura è necessario calcolare valori aggregati settimanali o, meglio ancora, medie mobili. Inoltre, più di un tampone processato si riferisce a uno stesso paziente. Una maggiore confrontabilità anche tra regioni si otterrebbe ponendo al denominatore il numero di pazienti sottoposti per la prima volta al test, valore peraltro riportato nel database anche se con modalità non uniformi da tutte le regioni. Insomma, il lavoro di diffusione dei dati prodotto dalla Protezione civile è encomiabile, ma necessita di una sistematizzazione dal punto di vista statistico. A questo proposito la Società italiana di statistica ha lanciato una petizione per chiedere che siano resi disponibili dati disaggregati e, ovviamente di qualità, in modo che chi ha le competenze per analizzarli possa dare il suo contributo.

Può citare un esempio?

Una primissima evidenza dai dati pubblicati da Azienda Zero del Veneto mostra che da ottobre a novembre la percentuale di contagi nella fascia d’età 0-24 è passata dal 22% al 17% e tale percentuale è rimasta stabile in questa prima parte del mese di dicembre. Potrebbe trattarsi di un effetto dovuto alla chiusura delle scuole superiori, ma solo disponendo di ulteriori dati, una disaggregazione più fine per età dei contagiati, luogo del contagio e così via potrebbe permettere di comprendere se questa ipotesi è fondata. Conoscere le caratteristiche sociodemografiche dei contagiati, come pure di coloro che vengono sottoposti a tampone, permetterebbe di comprendere molte cose sulla diffusione dell’epidemia. Come pure poter disporre di dati a un livello territoriale comunale contribuirebbe a poter realizzare studi che spieghino la grandissima variabilità che la pandemia presenta sul nostro territorio, non solo a livello nazionale, ma anche all’interno di una stessa regione e provincia. E proprio di questi e altri temi legati ai dati per comprendere la pandemia parleremo nella tavola rotonda in programma oggi alle 16.30 sul canale Youtube del Dipartimento di Scienze statistiche dell’Università di Padova.

(Marco Biscella)

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