Quest’anno siamo stati inondati da cifre e commenti su mortalità e covid e crediamo che persino la ben conosciuta ai più “casalinga di Voghera” (che notoriamente fa un altro mestiere) difficilmente avrà potuto scansare la fatica di indossare “il grembiule” della statistica e porsi qualche elementare domanda sul numero dei decessi che si sono verificati e sulle loro caratteristiche.



E se lo fa la gente comune, a maggior ragione il compito spetta per definizione a chi di mestiere si occupa della materia e ci dovrebbe quindi adeguatamente informare, anche perché ormai tutti hanno capito che le statistiche giornaliere sui decessi che ci fornisce la Protezione Civile per molti e ragionevoli motivi non sono soddisfacenti.



Non entriamo nel merito della discussione che alcuni osservatori hanno correttamente sollevato a proposito della qualità, affidabilità e completezza di questi dati, e nemmeno sulla opportunità di produrre statistiche giornaliere inevitabilmente sottoposte a potenziali inadeguate interpretazioni da parte dei media o dei non professionisti della statistica: quando però entrano in campo “i pezzi da 90” allora giù il cappello e mettiamoci a ragionare seriamente.

Il caso di studio si è presentato agli inizi dello scorso mese di marzo quando Istat e Iss (Istituto superiore di sanità) hanno messo a disposizione i dati di mortalità dell’anno 2020, sia per la mortalità generale che per quella che risulta dovuta a Covid secondo la rilevazione ufficiale. Il documento è importante (ne ha parlato da queste colonne anche il presidente dell’Istat) perché si tratta di dare una ragionevole risposta a quale sia stato veramente l’impatto della pandemia sulla mortalità della popolazione italiana. Non bisogna infatti dimenticare che siamo di fronte ad un argomento complesso che vede la presenza di soggetti deceduti senza essere stati sottoposti ad un tampone o senza essere sintomatici (condizioni necessarie per attribuire quel decesso all’effetto del virus), nonché la difficoltà di distinguere i soggetti deceduti “per” il (cioè a causa del) covid dai soggetti deceduti “con” il covid (cioè dove il virus era solo uno dei fattori partecipanti al complesso di patologie che può aver portato una persona al decesso), senza contare poi che la straordinariamente elevata attenzione che ha richiesto la gestione dei soggetti infettati ha inevitabilmente portato il servizio sanitario a trascurare altre patologie che possono quindi avere portato ad un incremento di decessi “indirettamente” attribuibili al covid. Da qui la corretta impostazione del rapporto Istat-Iss che per valutare l’effetto della pandemia innanzitutto ha preso in esame la mortalità generale (e non solo quella emergente dalla rilevazione covid). Per un utile confronto, poi, il numero di decessi dell’anno 2020 è stato paragonato con il numero medio dei decessi per il periodo 2015-2019, e sono state proposte considerazioni in merito ai risultati emersi.



La metodologia proposta da Istat-Iss si basa su due assunti, che esplicitiamo: il primo, che sia corretto utilizzare per la statistica di confronto il numero dei decessi del totale della popolazione; il secondo, che la media dei decessi del periodo 2015-2019 sia un riferimento adeguato per il confronto stesso. In un precedente lavoro sempre su queste colonne gli statistici Gori e Marin hanno discusso la validità del primo assunto, dimostrando in maniera didattica come l’utilizzo dei soli casi di decesso del totale della popolazione trascura l’evoluzione in termini di età della popolazione stessa e che, per una analisi corretta, bisogna fare ricorso ai tassi di decesso specifici per età, i quali adeguatamente elaborati permettono di distinguere l’effetto dell’invecchiamento naturale della popolazione dagli effetti riconducibili alla pandemia. Nel presente contributo, usando la metodologia proposta da Gori-Marin per tenere conto dell’effetto dell’età (si omettono nel seguito i dettagli dei calcoli), discuteremo invece il secondo assunto, e cioè come si modificherebbero i risultati cambiando il periodo preso come paragone (periodo di riferimento). Per l’esercizio abbiamo utilizzato i dati di mortalità (generale) e quelli di popolazione del periodo 2010-2020 della regione Lombardia, perché ha numeri sia di popolazione che di decessi sufficienti per ottenere risultati statisticamente validi (oltre ad essere stata pesantemente investita nel 2020 sia dalla pandemia che dai suoi effetti più gravi).

Il rapporto Istat-Iss ha confrontato il numero di decessi del 2020 con la media dei decessi del periodo 2015-2019. In quanto segue, oltre ad utilizzare lo stesso riferimento (media 2015-2019) si è calcolato cosa succederebbe se cambiassimo riferimento, e per l’esercizio sono stati provati i seguenti: la mortalità generale del 2019, quella del 2018, la media 2018-2019, e l’andamento della mortalità nel periodo 2010-2019.

Ricordiamo innanzitutto che la differenza tra i decessi del 2020 e quelli dell’anno (o periodo) preso come riferimento si compone di tre quantità: l’effetto dell’invecchiamento naturale della popolazione, l’effetto (diretto e indiretto) della pandemia, e l’effetto congiunto di età e pandemia. L’anno/periodo di riferimento serve per calcolare come sarebbe stata la mortalità nel 2020, nell’ipotesi che se non ci fosse stata la pandemia la mortalità del 2020 non si sarebbe discostata da quella del riferimento.

Cominciamo col valutare quale sarebbe l’effetto della pandemia utilizzando la metodologia Istat-Iss: la tabella 1 riporta i risultati del confronto.

Tabella 1. Effetto della pandemia secondo la metodologia ISTAT-ISS, utilizzando diversi riferimenti. Numero di decessi in Lombardia

Come la tabella mostra, il numero di decessi complessivi attribuibili alla pandemia (diretti e indiretti) varia da un minimo di poco più di 34.500 a poco meno di 40.000 a seconda di cosa si utilizza come elemento di paragone, mentre la ripartizione tra maschi e femmine sostanzialmente non cambia in funzione del riferimento, con il rapporto maschi su femmine che è attorno ad 1,10 in termini di casi e attorno ad 1,15 in termini di tassi.

Applichiamo ora la metodologia Gori-Marin per separare l’effetto della pandemia da quello dell’invecchiamento naturale della popolazione: i risultati sono presentati in tabella 2.

Tabella 2. Effetto dell’età e della pandemia, utilizzando diversi riferimenti, sul numero di decessi in Lombardia nel 2020

Non interessa in questo contributo commentare i risultati che riguardano l’invecchiamento, ma sono di rilievo i numeri che rendono conto dell’effetto della pandemia al netto dell’effetto dell’età: quasi 29.000 decessi in Lombardia nel 2020 se si considera il riferimento utilizzato da Istat-Iss (media 2015-2019) e un poco più di 34.000 se si dà credito invece all’andamento della mortalità nel periodo 2010-2020. Non solo vi è una bella differenza (20%), che induce seriamente a porsi la domanda su quale sia il paragone più adeguato da utilizzare per il confronto (e la risposta non può che venire dalla osservazione di come sta evolvendo la mortalità nel tempo) ma è anche una bella differenza rispetto alle stime proposte da Istat, valutazioni che risultano largamente sovrastimate.

Presentare dei dati sulla evoluzione della mortalità nel tempo sarebbe troppo lungo: li sintetizziamo in modo discorsivo dicendo che nel periodo 2010-2019 i tassi di mortalità in Lombardia sono diminuiti, seppure in maniera quantitativamente diversa, praticamente in tutte le classi di età, sia nei maschi che nelle femmine, in maniera lineare. Questo risultato porta a dire che il riferimento più adeguato per stimare la mortalità attribuibile alla pandemia non è quello utilizzato da Istat-Iss bensì è quello che tiene conto dell’età e di come si sta modificando la mortalità nel tempo.

Certo in questi numeri che hanno valutato la mortalità generale c’è molto di più dei morti “per” covid o di quelli “con” covid, effetti diretti del virus, perché ci sono anche i deceduti “senza” covid (cioè per altre patologie) che rappresentano un effetto indiretto del virus: ma siamo sicuri che l’effetto della pandemia sia riconducibile solo ai morti “per” o “con” covid? Ne abbiamo già parlato su queste colonne poco tempo fa, segnalando (per altro in buona compagnia con diversi altri osservatori) che lo sconquasso portato dalla pandemia nelle attività, in particolare ma non solo, ospedaliere ha avuto, tra altro, l’effetto di ritardare (se non addirittura di evitare) il ricorso alle cure per altre patologie, con le ipotizzabili conseguenze anche sulla mortalità.

L’analisi di dettaglio delle singole schede di morte porterà ulteriori elementi di conoscenza sugli impatti della pandemia (ad esempio: le patologie presenti nei deceduti covid) ma per questo è necessario più tempo, ed informazioni complete su quello che è successo nel 2020 ad oggi non sono ancora disponibili.

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