Il terzo aumento consecutivo dell’inflazione nell’Eurozona (arrivata a dicembre al +2,4% dal +1,7% di settembre) non è giunto come un fulmine a ciel sereno per la Bce, che già aveva previsto prezzi in rialzo nell’ultimo trimestre del 2024. Ma quali ripercussioni potrebbe avere sulle decisioni del primo Consiglio direttivo dell’Eurotower del 2025 previsto il 30 gennaio? Secondo Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, «nell’Eurozona continua a esserci un andamento economico piuttosto eterogeneo e un mezzo per tentare di armonizzare maggiormente la crescita è quello di proseguire nel taglio dei tassi di interesse. Non si può in ogni caso trascurare il problema relativo al recente rialzo dei prezzi energetici».



Questo rialzo potrebbe portare a uno stop nel percorso di riduzione dei tassi da parte della Bce?

Solo se ci saranno nuovi picchi. Al momento la situazione non è allarmante, ma è bene monitorarla con attenzione. Anche perché ci sono Paesi come la Germania che, dopo aver perduto le forniture russe, sono molto sensibili alle variazioni di prezzo del gas, che potrebbero incidere significativamente sul loro indice dei prezzi.



Dunque, la Bce potrebbe adottare un approccio prudenziale e tagliare i tassi a fine mese solo di un quarto di punto…

Esattamente. Anche perché non bisogna trascurare il fatto che la maggior disponibilità di credito dovuta a tassi di interessi più bassi potrebbe essere utilizzata per investimenti speculativi che finirebbero per far salire ulteriormente i prezzi energetici. Penso non verrà trascurato questo rischio di innescare spirali negative.

L’inflazione nell’Eurozona a dicembre è stata pari al +2,4%, mentre in Italia al +1,3%. A cosa si deve questa differenza?

Più che alla variazione tendenziale guarderei a quella congiunturale, che è stata pari allo 0,1% per l’Italia e allo 0,4% per l’Eurozona. Questa relativa stabilità dei prezzi nel nostro Paese nel mese di dicembre, contraddistinto dalle festività, può essere stata a mio avviso dovuta alla scelta della maggior parte delle imprese di non alzare i prezzi.



Questa scelta può essere stata dovuta all’andamento dei salari? Se osserviamo i dati vediamo che in Germania, dove sono cresciuti non poco, l’inflazione è risalita a livello congiunturale dello 0,7%.

Penso di sì. Non si può escludere che la domanda aggregata non particolarmente vivace nel nostro Paese abbia convinto la maggior parte delle imprese a lasciare i prezzi grosso modo invariati nonostante dicembre sia un periodo favorevole per i consumi.

Per l’Italia c’è comunque un problema relativo ai tassi reali, più elevati rispetto ad altri Paesi dell’Eurozona.

Sì e credo che questa situazione, che riguarda anche un Paese importante come la Francia, dove l’inflazione a dicembre a livello tendenziale è cresciuta dell’1,3%, alimenti il dibattito interno al Consiglio direttivo della Bce su quello che deve considerarsi il tasso neutrale, vale a dire quello che dovrebbe essere compatibile con un’economia che marcia a regime senza problemi relativi all’inutilizzo della propria capacità produttiva.

Cioè per Italia e Francia il tasso neutrale dovrebbe essere più basso rispetto a quello che andrebbe bene per altri Paesi…

Sì, è così. In Italia possiamo anche guardare al fatto che la fascia di popolazione in situazione di povertà resta quantitativamente significativa. Questo vuol dire che una parte di domanda aggregata nel nostro Paese continua a rimanere debole e ciò dipende anche dal livello dei tassi di interesse.

Questo livello di tassi reali può creare problemi in questo inizio d’anno sia sul lato dei consumi che del costo del rifinanziamento del debito pubblico, nonostante uno spread contenuto?

Rischia più che altro di permanere una distribuzione squilibrata della capacità di acquisto nelle famiglie, alimentata anche dal livello dei rendimenti dei Btp, visto che non tutte le famiglie hanno la possibilità di poter risparmiare per acquistare titoli di stato e incassare così le cedole.

Come si può cercare di aumentare la domanda aggregata in questa situazione?

Quando parliamo di domanda aggregata dobbiamo ricordare che c’è sì quella dovuta ai consumi, molto importante, ma anche quella che deriva dagli investimenti.

Dunque, vanno aumentati gli investimenti?

Purché generino un aumento della produttività che vada genuinamente ad alimentare una politica dei redditi, vale a dire a remunerare i salari almeno nella stessa misura in cui si remunera il capitale.

(Lorenzo Torrisi)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI