Il recupero dei livelli di occupazione precedenti la crisi Covid (febbraio 2020) sta proseguendo a livelli accelerati in linea con la crescita del Pil. Il comunicato dell’Istat relativo all’andamento dell’occupazione per il mese di settembre 2021 segnala una crescita di 59 mila occupati rispetto a quello precedente, e di 273 mila rispetto allo stesso mese del 2020. Ancora più significativa è la performance positiva registrata nel corso di quest’anno (+507 mila) che ha consentito di rimediare anche la parte ulteriore delle perdite occupazionali registrate nel corso dell’ultimo trimestre del 2020, in coincidenza della seconda ondata della crisi Covid. Mancano ancora all’appello 314 mila occupati, rispetto ai numeri precedenti l’emergenza sanitaria, che potrebbero essere in parte recuperati, Covid e inflazione permettendo, entro la fine di quest’anno.
Com’era ampiamente prevedibile, la parte significativa di questo recupero sta avvenendo nell’area del lavoro dipendente a tempo determinato (+97 mila nell’ultimo mese e +353 mila rispetto al settembre 2020). Si tratta infatti dei rapporti di lavoro che riscontrano un maggiore utilizzo nelle attività dei servizi e nei comparti del lavoro stagionale, che sono stati penalizzati dalle mancate attivazioni in coincidenza del blocco delle attività. Un recupero che coincide con quello della componente femminile e dei giovani under 34 anni, rispettivamente +139 mila e +220 mila, con effetti positivi sulla riduzione del numero delle persone in cerca di lavoro e soprattutto di quelle inattive (-280 mila), che era aumentato in modo esponenziale per la concreta mancanza di nuove opportunità di lavoro.
La ripresa delle attività economiche riporta gradualmente la lettura degli andamenti delle persone occupate, disoccupate e inattive alla condizione di normalità, falsata nei mesi precedenti dagli effetti dei provvedimenti di lockdown. Per questo motivo appaiono fuori luogo i commenti che ripropongono la retorica della ripresa dell’occupazione fondata sulla precarizzazione dei rapporti di lavoro, con l’immancabile richiesta di ripristinare le limitazioni normative per le assunzioni a termine che sono state giustamente sospese nel corso della pandemia per evitare un ulteriore tracollo dei nuovi assunti.
Semmai l’attenzione dovrebbe essere concentrata su alcune tendenze che hanno caratteristiche strutturali, e che rischiano di compromettere l’ultimo miglio del recupero dei numeri occupazionali precedenti.
Il più importante è quello della crescente difficoltà delle imprese di trovare lavoratori in relazione alle competenze necessarie, ovvero per la mera indisponibilità dei disoccupati a svolgere determinate mansioni. Il tema, finalmente, sta riscontrando un’inedita attenzione sui mass media. Assai meno negli interventi che vengono proposti in ambito istituzionale per affrontare le criticità del mercato del lavoro, che continuano a essere concentrati sull’obiettivo di aumentare i sostegni al reddito, ben oltre la soglia della ragionevole tutela della perdita involontaria del lavoro.
Allo stato attuale vengono ancora assistite con assegni pubblici oltre 4 milioni di persone in età di lavoro, tramite le cassa integrazioni di varia natura, le indennità di disoccupazione, i sussidi del Reddito di cittadinanza e bonus di altro genere. In un mercato del lavoro privato di poco più di 14 milioni di occupati, e che registra in via ordinaria circa 6 milioni di nuovi rapporti di lavoro nell’arco di un anno, non dovrebbe provocare stupore il fatto che per buona parte delle mansioni con bassa qualificazione si fatichi a trovare manodopera disponibile.
Un tema che deve essere certamente affrontato nel quadro di interventi rivolti a migliorare la produttività di interi comparti dei servizi e le retribuzioni dei lavoratori, ma che non può essere semplicemente ignorato.
Nonostante la ripresa dell’occupazione, rimane costante la riduzione del numero dei lavoratori autonomi (-28 mila nell’ultimo mese e -150 mila rispetto a settembre 2020), frutto di una crisi strutturale delle professioni e dei mestieri che viene troppo trascurata, e che meriterebbe interventi adeguati per favorire percorsi di qualificazione in coincidenza di un’evoluzione delle organizzazioni del lavoro, e delle reti di fornitura di nuove prestazioni verso le imprese e le persone, potenzialmente destinate a valorizzare le forme di lavoro autonomo.
Nonostante i buoni propositi che costellano i pronunciamenti degli attori politici e delle associazioni di rappresentanza, le distanze tra i processi reali e le politiche del lavoro concretamente praticate stanno aumentando in modo preoccupante.
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