Quando si arriva al dunque della legge di bilancio e ci si mette a parlare di sanità si formano sempre due contrapposte fazioni: chi è al governo dice “ho messo tanto”, chi è alla opposizione, al contrario, controbatte “hai messo poco”. Cambiano i governi e cambiano le fazioni, ma la musica rimane la stessa: gli uni suonano il “ho messo tanto” e gli altri fanno il controcanto con “hai messo poco”. Non ho mai sentito nessuno dire “ho/hai messo il giusto”. In questo contributo non è in discussione se un governo ha messo più risorse (o meno risorse) di quello che lo ha preceduto oppure seguito, ma si vuole rispondere ad un’altra domanda motivata proprio dalla contrapposizione che ho evidenziato in apertura: cosa è il giusto finanziamento per la sanità? Quante risorse servirebbero per dire che si è messo il giusto?
Lontano da me il pensiero che mettendo il giusto (in termini di risorse) si risolverebbero i problemi della sanità del nostro Paese (si vedano in proposito i tanti contributi che Il Sussidiario continuamente pubblica per sottoporre a giudizio critico il Servizio sanitario nazionale) ma almeno sapremmo come comportarci sul tema delle risorse (al di là poi di essere in grado di reperirle e metterle realmente a disposizione della sanità).
Lo stimolo alla riflessione mi è venuto da una risposta che Aldo Cazzullo (Corriere della Sera, 31 ottobre 2023) ha fornito ad un cittadino che gli scriveva lamentando la lunghezza dei tempi di attesa per una visita neurologica ed arricchendo la sua lamentela con alcune considerazioni critiche sulla attuale situazione della sanità italiana.
Nella sua risposta (estraggo solo la parte di interesse per la domanda cui voglio qui rispondere) Cazzullo scrive: “C’è però una cosa che dobbiamo dirci con franchezza. Ogni Paese ha la sanità che riesce a finanziare”. È vero? Da dove trae origine questa conclusione, che non rappresenta un giudizio sulla qualità della sanità ma esprime una valutazione di fondo sulla quantità di risorse impiegate? Chi ne mette di meno potrebbe metterne di più? Sarebbe anche bello rispondere alla domanda se chi ne mette di meno ha una sanità peggiore di chi ne mette di più, ma per il momento fermiamoci al quesito sulle risorse che servirebbero.
C’è molta letteratura (non è questo il luogo per discuterne) che affronta il tema della valutazione del bisogno sanitario e della sua trasformazione in risorse economiche necessarie per la soddisfazione del bisogno. La mia lettura di questo materiale suggerisce, tra l’altro, due considerazioni conclusive di tipo generale: ogni approccio proposto ha pregi e difetti, dà un peso differente ai fattori (diversi) che vengono presi in esame, e porta a risultati di stima delle risorse da mettere in gioco molto differenti (con diversità quantitative anche piuttosto rilevanti): non c’è un approccio che si faccia preferire sugli altri; il metodo più seguito non passa attraverso approcci finalizzati alla stima del bisogno sanitario, ma effettua confronti pratici tra nazioni a partire da indicatori di ricchezza (esempio: Pil, Pil pro-capite) e indicatori di spesa (esempio: spesa pro-capite, rapporto tra spesa e Pil).
Considerata la sua maggiore semplicità e comprensibilità anche per coloro che sono meno tecnicamente attrezzati, nell’esempio che segue si adotterà il secondo approccio, con l’avvertenza generale che, quando si effettuano questi confronti internazionali tra Paesi molto diversi per una quantità di fattori (dimensionali, economici, culturali, sociali, organizzativi) occorre avere grande attenzione e prudenza per non correre il rischio di prendere sostanziali abbagli.
Si osservi la figura che segue, che presenta sull’asse delle ascisse un indicatore di ricchezza, il Pil pro-capite registrato nel 2019 dalle nazioni europee, e sull’asse delle ordinate un indicatore di spesa, la spesa pro-capite per la sanità delle stesse nazioni sempre dell’anno 2019. I dati sono stati presi tal quali dalla banca dati dell’OCSE col presupposto che si tratti di dati validi e confrontabili. I dati del 2019 non sono i più recenti disponibili, ma sono stati appositamente selezionati per evitare le turbolenze che hanno subìto questi indicatori durante il periodo pandemico. Ai punti in figura di maggiore interesse per la discussione si è messa l’etichetta della nazione cui i valori si riferiscono.
Figura 1. Relazione tra Spesa pro-capite per la sanità e PIL pro-capite: valori in dollari.Nazioni europee, dati 2019. Fonte: banca dati OCSE
In termini macroscopici si osserva che la spesa sanitaria segue il Pil: chi ha Pil pro-capite più alto mette (spende) più risorse in sanità. Inoltre, la spesa segue il Pil fino ad un Pil pro-capite di circa 60.000 dollari (come media nazionale): oltre questa cifra la relazione si appiattisce (anche se i pochi punti a disposizione invitano alla prudenza interpretativa) e ad un aumento della ricchezza non corrisponde più un aumento della spesa sanitaria.
L’Italia si trova posizionata al centro di questa nuvola di punti ed in linea con la tendenza generale: se spendesse molto di più (o molto di meno) uscirebbe dalla tendenza che la figura ci restituisce (qui non è in gioco qualche miliardo in più o in meno, che farebbe parte della variabilità statistica insita nella analisi). L’Italia risulta al centro della nuvola di punti perché nella parte bassa della figura (minore ricchezza e minore spesa sanitaria) si posizionano le nazioni dell’Est Europa (oltre alla Grecia): se escludiamo dalla analisi questi Paesi l’Italia non sarebbe più al centro della nuvola ma (con la Spagna, ad esempio) finirebbe nella sua parte bassa (pur rimanendo comunque dentro la linea di tendenza); Francia e Belgio, ma soprattutto la Germania, spendono di più degli altri Paesi di pari ricchezza, e la Germania si allontana dalla tendenza caratterizzandosi per una spesa particolarmente elevata, superata solo da Norvegia e Svizzera che però hanno un Pil pro-capite molto più alto di quello tedesco.
Per quelli che non amano la spesa pro-capite come indicatore e preferiscono (o sono più abituati a) ragionare sulla spesa come percentuale del Pil, si segnala che una figura analoga (e quindi in sostanza lo stesso risultato) si ottiene se sull’asse delle ordinate al posto della spesa pro-capite si usa come indicatore la percentuale di spesa rispetto al Pil.
Quello che però la figura non dice, ed è il motivo per cui in questo contributo si rinuncia a rispondere alla domanda se chi mette meno risorse ha una sanità peggiore di chi ne mette di più, è se la sanità, ad esempio, dell’Italia (che spende di meno) è peggiore o migliore della sanità, ad esempio, della Germania (che spende di più) e così per qualsiasi altro confronto tra nazioni che spendono in maniera diversa. La figura non dice quanti soldi (risorse) bisognerebbe mettere in sanità. Allo stesso modo la figura non dice se fa bene, ad esempio, la Svizzera a mettere quasi 7.000 dollari pro-capite o ha ragione l’Irlanda che (circa con la stessa ricchezza) ne mette 5.000. Così pure dal grafico non si può sapere se la sanità dei Paesi dell’Est (che spendono poco) è peggiore di quella dei Paesi nordici (che spendono molto di più). E la Germania e la Francia stanno sprecando risorse rispetto a Regno Unito e Finlandia o hanno una sanità migliore? Tutte queste domande non hanno risposta dalla figura, che si limita a fare una fotografia statica della situazione europea e dice solo che chi è più ricco mette più soldi in sanità, ma non dice se si sta (o se qualche Paese sta) mettendo il giusto (cioè, quel che servirebbe).
A questo punto si pone il classico problema di questo tipo di analisi, e cioè ci si chiede “chi è il cavallo e chi è il carretto?”: si spende poco in sanità perché si è più poveri o si è più poveri perché si spende poco in sanità? L’interpretazione di gran lunga prevalente è la prima (chi ha meno risorse ne mette meno in sanità), ma se consideriamo il comparto sanitario come un settore produttivo anche la seconda interpretazione trova un po’ di sostegno, probabilmente non da sola ma in aggiunta alla prima che resta la più rilevante. Se l’analisi condotta e l’interpretazione proposta sono adeguate (dove il “se” non intende mettere in dubbio la validità della analisi, ma rappresenta la prudenza più sopra richiamata) allora la conclusione è semplice ed è una sola: Cazzullo ha ragione nel dire che le nazioni europee (tranne qualcuna che potrebbe anche spendere di più in sanità: Islanda, Irlanda, Lussemburgo; oppure la Germania, che spende molto più degli altri) hanno la sanità che riescono a finanziare.
Vuol dire allora che il finanziamento del nostro SSN (ma anche quello di altri Paesi) è da considerare giusto? Sfortunatamente il finanziamento giusto ed il finanziamento che le singole nazioni europee si possono permettere sono solo lontani (e spesso molto lontani) parenti, come si rende conto benissimo chi ogni giorno, a prescindere dalla sanità, deve far quadrare i conti della propria famiglia con le risorse che ha. Per spendere significativamente di più in sanità, e qui qualcuno potrebbe anche offendersi e dire “è ovvio” ma in realtà tale a me non appare, a giudicare dai commenti di politici e media, c’è una sola alternativa: dobbiamo impegnarci per diventare più ricchi. Auguri.
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