Ah, quel grido del papa. Che non ha gridato affatto, ma pur nella moderazione del tono si comprendeva un malcelato rimprovero, e l’affermazione di un diritto inviolabile, sancito dalla Costituzione, dal Concordato, ma soprattutto dal buonsenso e dalla libertà di ogni persona. Le chiese non possono e non devono essere chiuse. Punto. Non si possono fare cerimonie (le Messe, ricordiamolo, non sono cerimonie), perché immaginando parrocchie piene, il contagio potrebbe diffondersi agevolmente in una ristretta comunità.
Ma andare in chiesa, se le chiese sono aperte, si può. E invece no: perché nel testo del decreto, non essendo specificato espressamente che si può uscire di casa anche per andare in chiesa, non c’è autocertificazione che tenga. Che scriviamo: stato di salute? Di necessità? Vale se andiamo dal ferramenta, e non per un saluto davanti a Nostro Signore? Eppure, se esci di casa camminando solo, lemme lemme, verso una chiesa, ti fermano, e possono benissimo multarti. Sono tanti e segnalati i casi di chi è stato redarguito, e qualcuno malamente, perché ha candidamente dichiarato che si recava in chiesa, in un giorno feriale, in orario qualsiasi. Aspettiamo le sanzioni, e poi lo scientismo di stato avrà vinto su un diritto inviolabile come quello della libertà religiosa.
E dire che non siamo in Corea del Nord, e neppure in Cina: e dire che l’attenzione per Dio (del sacro! Direbbero i sociologi) il desiderio di Dio, la rinascita della fede sono testimoniati per esempio dagli ascolti in costante crescita di Tv2000, delle Messe, della liturgia delle ore, dei Rosari, per non dire delle seguitissime Messe ed Esercizi spirituali in streaming. Chi si arroga presuntuosamente la facoltà di dichiarare la spiritualità “non essenziale, non urgente”? Eppure nell’ansia diffusa che i media e gli organi social di governo maldestramente diffondono, è passata l’idea che della Messa, ma ancor più di una preghiera a Gesù si può fare a meno. Un’altra volta, quando tutto andrà bene. Ma se si prega “nell’intimo”, “nelle proprie stanzette”, se la fede torna ad essere un fatto privato, che ci siamo raccontati e che ci raccontiamo ancora, a proposito della dimensione pubblica, perfino politica, della presenza nell’ambiente, e ancor più della necessaria missionarietà, che la fede chiede ed esalta?
Perché bisogna accettare che un decreto stilato da un comitato scientifico presumibilmente disinteressato alle ragioni dei cristiani detti legge su “ciò che abbiamo di più caro”, ovvero Gesù Cristo e il nostro rapporto con lui? Ecco quel che dice il decreto alla firma in queste ore: “sospensione delle cerimonie civli e religiose, limitazione dell’ingresso nei luoghi destinati al culto, nonché completa chiusura degli stessi”. Significa che, secondo la personale interpretazione delle forze dell’ordine, e dei prefetti regione per regione, comune per comune, si possono impedire le persone ad entrare in chiesa, e intimare ai parroci di chiudere i portoni? Ma allora il papa, così osannato, quando quel che dice coincide con quel che serve a chi comanda, dovrà alzare un’altra volta la voce? O vescovi e parroci si alzeranno in piedi, e si faranno multare o cacciare dalle case di Dio, per riaffermare non solo un diritto, ma una ragione di vita?