Prima della pandemia, a Roma, si eseguivano tante ore di musica contemporanea l’anno quante a Berlino. Era a pieno titolo una delle capitali mondiali della musica contemporanea così come lo era stata negli anni sessanta del secolo scorso quando diversi musicisti soprattutto anglosassoni si erano trasferiti nella capitale italiana, sia per lavorare nella “Hollywood sul Tevere” sia per fare musica innovativa. Ancora prima: negli anni trenta, la musica contemporanea fioriva a Roma perché incoraggiata dallo stesso Governo. Oggi ci sono istituzione pubbliche, come Musica per Roma, che la promuovono. La stessa Accademia Nazionale di Santa Cecilia, come visto su Il Sussidiario del 16 novembre, la include tra i suoi programmi. Le Accademie e gli Istituti di Cultura stranieri organizzano, con l’Accademia Filarmonica Romana, un festival estivo per fare conoscere la musica contemporanea dei loro Paesi. Ci sono eventi, come il Romeuropa Festival, interamente dedicati all’innovazione musicale. Per non parlare di fondazioni private. E soprattutto dell’Associazione Nuova Consonanza che ha quasi sessanta anni e del cui cinquantottesimo festival abbiamo parlato su Il Sussidiario del 5 novembre.
Sono andato al concerto del 14 dicembre dedicato a composizioni per ottoni e percussioni: un’antologia dell’esperienza italiana degli ultimi vent’anni ed una prima mondiale di un lavoro di Nicola Sani, direttore artistico dell’Accademia Chigiana di Siena ed apprezzato compositore.
Come ricorda Ramón Andrés ne Il mondo dell’orecchio (Adelfi, 2021), che tratta in dettaglio della musica in Mesopotamia, Israele, Egitto e Grecia, l’unione tra ottoni e percussioni ha origine antica. Il termine ‘toccare’ – da cui la ‘toccata’ strumentale – deve essere passato per analogia dalle percussioni (tamburi e piatti) ai fiati (clarine, trombe, trombette) ben prima del Rinascimento, quando le due famiglie di strumenti erano inseparabili nella prassi esecutiva. Nel saggio a presentazione del concerto, il musicologo Paolo Rosato ricorda che Vinko Globokar, il trombonista delle prime esecuzioni di Berio, Kagel e Stockhausen, ma compositore egli stesso, in un articolo del 1989 dal titolo Anti-badabum, divide il mondo della percussione in due filosofie opposte: quella del ‘battere’ – l’antico ‘toccare’ – di chi lavora con più strumenti per avere più timbri; e quella della ricerca di timbri diversi su un solo strumento, ricorrendo ad articolazioni altre dal battere, mutuate da altri strumenti, come ad esempio smorzare, scivolare, sfregare, sfiorare. Ambedue queste concezioni sono presenti nel concerto, in cui Ivo Nilsson era al trombone e Antonio Gaggiano alle percussioni.
Ad iniziare il programma, Sylfer, per trombone, percussione ed elettronica dello svedese Ivo Nilsson che si confronta in maniera programmatica con la vicenda della silfide, un essere immaginario, mortale ma privo di anima, che Paracelso (1493-1541), il medico alchimista e astrologo svizzero, pensava associato all’aria. Il brano si basa su una poesia dello svedese Gunnar Ekelöf (1907-1968), scrittore surrealista, influenzato anche dall’arte barocca e romantica. E’ un brano molto suggestivo che partendo dalla pura aria, prodotta dal soffio nello strumento e dalla oscillazione delle fruste, acquisisce elementi sempre più concreti, tangibili.
Appunti per amanti simultanei, per trombone ed elettronica, di Fabio Cifariello-Ciardi (1960) è una delle possibili versioni di un lavoro ispirato al romanzo breve Amanti simultanei del futurista Filippo Tommaso Marinetti. Nel finale il trombone accenna, con ironia, a canzoni che ricordano il fascismo, scomparendo un poco alla volta.
Con Nube obbediente, Stefano Gervasoni instaura una analogia tra le leggi della meteorologia e quelle della musica. Gervasoni crede fermamente in una dialettica fra la libertà del compositore ed una materia musicale che gli si oppone, anche in forza di convenzioni linguistico-formali e prassi esecutive consolidate. E’ un brano carico di tensione
Trama, per un percussionista di Giorgio Battistelli si impone subito all’ascolto per una veemenza ritmica che rimanda per lo meno a Edgard Varèse e a di Iannis Xenakis. Le percussioni usate, che provengono da quattro continenti (Africa, America Latina, Asia ed Europa), sono semplicemente percosse, con mani, dita e bacchette. Il brano ha però anche una dimensione visiva, prettamente teatrale, tant’è che l’interprete apre e chiude la performance con alcuni effetti da prestidigitatore, tra cui figurano un libro magico e della carta lampo.
Molto attesa la prima mondiale di Till I end my song#2, per trombone e percussioni di Nicola Sani. Si ispira al poema The Wast Land (La terra desolata) di T. S. Eliot (1888-1965) e ai versi in esso contenuti di Edmund Spenser (1552-1599). Ad un primo ascolto, il brano è elegiaco e melanconico, molto differente da quello di Battistelli che lo ha preceduto. Intimo e personale quasi struggente.
Il concerto si è tenuto nella Sala La Pelanda, all’interno di quello che è il Mattatoio in stile “liberty” costruito tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento sulle rive del Tevere.
Sala pienissima. Grande successo.