La parabola del maggioritario si sta esaurendo. Non è una previsione, ma praticamente una certezza, se il nuovo governo e la sua maggioranza avranno tempo e forza per raggiungere questo obiettivo. Obiettivo chiaramente indicato nel programma esposto dal Presidente del Consiglio: Conte, senza giri di parole, ha affermato che la riduzione del numero dei parlamentari “dovrà essere affiancata da un percorso volto a incrementare le garanzie costituzionali e di rappresentanza democratica, anche favorendo l’accesso democratico alle formazioni minori”; “in particolare, occorrerà avviare un percorso di riforma, quanto più possibile condiviso in sede parlamentare, del sistema elettorale”.



Per comprendere le ragioni profonde del proporzionale che verrà, non basta appellarsi alla prassi ricorrente secondo cui ogni maggioranza tende ad approvare la legge elettorale che le assicuri il futuro. Questa è una regola per così dire consuetudinaria (seppure non raramente smentita dai fatti), ma che non soddisfa chi si sente deluso dopo tanto parlare di “governo deciso la sera stessa delle elezioni”.



Occorre allora tornare alle origini del maggioritario in Italia, quando il mito del maggioritario spuntò all’orizzonte. Caduto il muro di Berlino, e cessato di conseguenza il “fattore K”, nulla più si opponeva al pieno inserimento di tutte le forze di opposizione – e che in precedenza erano anche anti-sistema – nel governo del Paese. Il proporzionale, che aveva ingabbiato milioni di voti da una parte e dall’altra dello schieramento partitico, non era più indispensabile. Si potevano liberare tutte le energie politiche, in quanto ormai incorporate nel sistema, e le si poteva sottoporre al confronto del maggioritario, seppure temperato dal bipolarismo.



Adesso, si sta riproducendo un nuovo fattore profondo di contrapposizione, che potremmo chiamare “S”: il sovranismo è la matrice delle forze che si intendono riconoscere come anti-sistema. Il maggioritario – o anche quel poco che ne rimane – va allora soppresso, per poter ritornare alle logiche inclusive/esclusive che sono implicite alla restaurazione del regime di governo parlamentare fondato sul proporzionale. Se un problema di fondo delle democrazie contemporanee è il confronto (o, talora, lo scontro) con le forze che si contrappongono all’establishment, il ricorso al proporzionale può così diventare una tendenza comune. In quanto è una soluzione che consente nello stesso tempo l’estensione della rappresentanza, e l’esclusione delle forze anti-sistema dal potere di governo. Come dimostrato, tra l’altro, dalla proposta di riforma elettorale che Macron ha recentemente prospettato proprio nel segno dell’inserimento di una quota di parlamentari eletti con il proporzionale.

Un’avvertenza ai navigatori. È possibile che all’estensione del proporzionale si accompagni l’introduzione di meccanismi volti a perseguire in altro modo la governabilità, ad esempio resuscitando il modello della legge elettorale di Renzi (legge peraltro mai applicata, dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale). Occorrerà però procedere con saggezza, escogitando soluzioni razionali, chiaramente comprensibili agli elettori, ed adottando le correzioni imposte dalle sentenze del 2014 e del 2017 della Corte costituzionale. Nulla è proibito alla fantasia del legislatore in materia elettorale. Salvo violare per la terza volta la libertà del voto, ed incorrere nuovamente nella censura della Corte. Questo, sì, sarebbe esiziale per la nostra “rappresentanza democratica”.