Se è vero, come è vero, che la risposta alla pandemia ha richiesto in tutto il mondo un ampliamento del ruolo dello Stato nella società (e quindi nell’economia), è altrettanto vero che per superare l’emergenza appare indispensabile un nuovo e costruttivo rapporto capace di valorizzare le risorse e riprendere una strada che sappia coniugare crescita ed equità.
Facile a dirsi, abbastanza complesso in una realtà, come quella italiana, dove le complicazioni non mancano anche perché all’emergenza sanitaria e alla rivoluzione tecnologica possiamo aggiungere una crisi della dimensione sociale che ha come punta dell’iceberg la perdita di rilevanza dei corpi intermedi come i partiti, i sindacati, le associazioni di categoria. Lo dimostra l’avvento di tentazioni inedite come quelle del populismo, del sovranismo, del ritorno allo Stato-padrone. E insieme le illusioni di una democrazia tecnocratica, di una partecipazione digitale che può essere utile nella strategia del no-tutto, ma che si è dimostrata strutturalmente incapace di far evolvere ipotesi costruttive.
In questa fase una politica che voglia veramente utilizzare al meglio risorse e opportunità del nuovo scenario, fondi europei compresi, non può che rendersi conto che lo strumento principale deve essere quello di attuare tutte quelle riforme, e non sono poche, che possano far funzionare il mercato e che quindi riattivino i meccanismi della creazione di ricchezza. Con in prima fila la figura dell’imprenditore, il protagonista della crescita, come ha scritto il maggior teorico dello sviluppo economico, Joseph Schumpeter, perché propone nuovi prodotti, sfrutta le innovazioni tecnologiche, apre nuovi mercati, cambia le modalità organizzative della produzione.
C’è una nuova normalità da riconquistare, una nuova normalità che non può essere un nostalgico ritorno al passato, ma che può trovare proprio in una rilettura critica della storia i valori di fondo e le strategie in grado di affrontare la dimensione della complessità.
È su queste linee che si muove il saggio di Michele Tronconi “Perché insieme, natura umana e corpi intermedi” (Ed. Guerini e associati, pagg. 280, € 26), un libro che costituisce un’analisi attenta e profonda della storia economica secondo la particolare prospettiva delle rappresentanze, delle associazioni, dei gruppi di interesse, di tutte quelle realtà che sollecitano e sostengono la partecipazione organizzata dei cittadini alla vita pubblica.
Tronconi si muove su due piani. In primo luogo mette a frutto una forte esperienza sia di imprenditore, sia di partecipazione alle organizzazioni imprenditoriali: iniziando dalla presidenza dei giovani dell’Unione industriali di Varese e arrivando a quella di Euratex (l’associazione europei delle imprese del tessile-abbigliamento) oltre che di Sistema Moda Italia e di Assofondipensione. Senza dimenticare gli incarichi nella Giunta e nel Direttivo di Confindustria.
In secondo luogo, dimostra una grande passione per l’approfondimento delle dimensioni storiche, politiche e sociologiche dell’associazionismo nelle sue varie forme in un’evoluzione che ha visto momenti positivi alternarsi a situazioni maggiormente problematiche.
Un percorso in cui politica ed economia si intrecciano e si condizionano. Significative le pagine dedicate al periodo medioevale dove le gilde sono prima nate dal basso, come organizzazioni autonome di individui legati dalle stesse attività, per poi diventare strumenti di una difesa corporativa “strumentale alle esigenze di chi detiene il potere”.
La realtà attuale ripropone gli stessi limiti e gli stessi condizionamenti del passato, ma con l’aggiunta, per molti aspetti dirompente, di una struttura della comunicazione che ha fatto dei social network la parodia della partecipazione.
Il viaggio di Tronconi nell’evoluzione dei corpi intermedi si conclude tuttavia con una nota di ottimismo: non solo per la sopravvivenza e il possibile rilancio delle rappresentanze e della concertazione, quanto per l’affermarsi della convinzione che nella dimensione della complessità non ci possono essere soluzioni semplici. “A questo punto – afferma Tronconi nelle conclusioni – non ci sarà più spazio per l’incompetenza o l’improvvisazione, e la capacità deliberativa dovrà formarsi sulla conoscenza dei problemi e sulla comprensione delle interdipendenze tra le molte variabili in gioco, nello scorrere del tempo. Prendendo a cuore problemi fondamentali come, per esempio, la questione demografica perché la demografia è destino, ma non sempre”.
Una visione di speranza nella convinzione che quello che valorizza ogni persona è soprattutto la relazione con gli altri in una società “del noi” che supera le tentazioni dell’individualismo. E che, come ricordava Aristotele, “è proprio il conoscersi che produce soprattutto reciproca fiducia” e la fiducia, conclude Tronconi “ci impegna sì come individui, ma si costruisce solo insieme“.
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