Aumentano il numero di contagiati ricoverati in terapia intensiva – gli ultimi dati parlano di 143 – così come i ricoverati con sintomi, 1.760. L’incremento più consistente, +754, riguarda le persone in isolamento domiciliare. L’aumento maggiore dei casi si registra in Campania, +249, seguita dal Lazio (+159) e dall’Emilia Romagna (+132). Inoltre è stato segnalato il caso di un possibile focolaio in una azienda di Polignano a Mare, in Puglia, dove 78 dipendenti sono risultati positivi. Il Covid è presente anche nelle scuole: a una settimana dalla riapertura degli asili nido un bimbo è stato trovato positivo a Pergine Valsugana, in Trentino , costringendo alla quarantena gli altri cinque bambini che frequentavano la stessa sezione. Tutto questo mentre in Francia, in pieno boom di contagi, il governo ha deciso di ridurre la quarantena da 14 a 7 giorni (“Tanto i francesi non la rispettano comunque” ha detto il ministro della Sanità), decisione accolta con favore dal mondo delle imprese, cosa che, come spiega il professor Roberto Cauda, ordinario di Malattie infettive presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, “non va per niente bene”.



C’è un piccolo, ma costante, aumento di casi di contagi in tutta Italia. Con la riapertura delle scuole dobbiamo preoccuparci?

Va detto che molti casi riguardano il rientro dalle vacanze. Focolai ci sono in tutta Italia come nel periodo in cui c’era la circolazione del virus prima di agosto. Ad agosto lo abbiamo visto tutti, non c’è bisogno di essere esperti, se non si rispettano le norme di prevenzione e non si usano le mascherine, è inevitabile che ci sia un aumento di contagi. Cito sempre il caso della Sardegna, dove era stata fatta una politica molto oculata, tanto che i casi di contagio erano quasi pari a zero. Poi con il periodo delle vacanze sono stati importati casi in una parte molto limitata, il nord-est della regione, dove si è acceso un focolaio.



La riapertura delle scuole, dove già si è verificato qualche caso, deve far temere una possibile nuova ondata?

E’ sempre difficile, direi impossibile, fare previsioni. Sappiamo di avere a che fare con un virus – diciamo così – abile nel trasmettersi: è un virus che non perdona le disattenzioni. La preoccupazione è legittima, non deve però impedire la riapertura di scuole e università, e questa apertura deve avvenire in sicurezza.

Come? Le norme previste sono sufficienti?

Ci sono protocolli su cui si può discutere, ma a me sembra che comprendano in maniera precisa le possibili situazioni. Qualunque protocollo, anche il migliore al mondo, può essere disattivato se chi dovrebbe farlo non lo rispetta. Non è giusto dire che la movida e le discoteche trasmettono il virus e altri luoghi di ritrovo no. La trasmissione avviene là dove non si presta attenzione alle misure di prevenzione. A scuola, come è ben indicato nel protocollo, sono previsti mascherine, distanziamento, classi non affollate. Poi può capitare che in corso d’opera ci sia qualcosa da cambiare, il rischio zero non esiste. A marzo è stato giusto chiudere le scuole a marzo, visto che molti lavori dimostrano che, chiudendo le scuole in tutto il mondo in quel momento, sono diminuiti i contagi. Oggi però non c’è alcuna giustificazione per tenerle chiuse.



Ma c’è chi dice che si mettono a rischio studenti e insegnanti, perché le norme di sicurezza sarebbero blande, è così?

Dobbiamo purtroppo aspettarci qualche caso di positivi, ma non è solo un problema della scuola. Deve esserci una alleanza fra la scuola e la famiglia, partendo dal senso di responsabilità delle persone. Oltre a ciò che accade nelle scuole bisogna prestare attenzione anche a quello che avviene uscendo dalla scuola.

Ad esempio?

Bisogna pensare in modo globale, ad esempio ai trasporti. Forse è dato per scontato, ma i ragazzi passano gran parte della loro vita fuori dalla scuola. Con l’autunno ci saranno alcuni falsi allarmi, sindromi influenzali, non diversi dai sintomi del Covid, ma guardiamo in positivo. L’uso della mascherina impedirà la trasmissione non solo del Covid, ma anche di altri virus influenzali e respiratori.

Che ne pensa della decisione adottata in Francia di dimezzare la durata della quarantena perché tanto i francesi non la rispettano?

L’Oms ha espressamente indicato di mantenere 14 giorni di quarantena. In Italia dove la quarantena è sempre stata di 14 giorni si sta aprendo u dibattito.  I francesi fanno riferimento alla statistica: la maggior parte dei contagi avviene tra il quinto e il sesto giorno, in casi più rari entro il dodicesimo giorno. Noi per essere più sicuri abbiamo aggiunto altri due giorni, ecco perché parliamo di 14 giorni. Come in tutte le malattie anche questa colpisce nei primi 5 o 6 giorni. I francesi stessi dicono che è un rischio che assumono per mancata osservanza della quarantena e perché il rischio contagio dopo il sesto giorno è molto basso. Ma questo non è vero.

A Verona sono cominciate le sperimentazioni del vaccino preparato insieme all’Istituto Spallanzani. Non è un po’ troppo presto?

No, non è presto: ogni notizia che riguarda i vaccini è una buona notizia. La fase 1 riguarda una decina di persone, la 2 qualche centinaio, la 3 alcune migliaia, qualcuno dice anche 30mila. E’ chiaro che ci sono aspetti di cui bisogna tener conto: un vaccino deve essere efficace per la produzione di anticorpi, impedendo la malattia, e non deve aver effetti collaterali.

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