Lo scorso dicembre si è acceso il semaforo verde per la nuova Pac, il documento che guiderà la Politica agricola comunitaria nel quinquennio 2023-2027. Le indicazioni contenute nel fascicolo, subito recepite nel Piano strategico nazionale dal ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, dettano infatti l’agenda del futuro dell’agricoltura e quindi dell’industria alimentare in Europa. Con riflessi più che significativi per il nostro Paese che di questi due comparti fa altrettanti cardini nevralgici del proprio sistema economico. Come spiega Paolo De Castro, eurodeputato, esperto di sistemi agricoli e agroalimentari, e ordinario di Economia e Politica Agraria presso l’Università degli Studi di Bologna.
Quali sono le priorità contenute nel Piano strategico nazionale presentato dall’Italia?
Le novità inserite nel Psn sono il frutto dell’accordo politico raggiunto da Parlamento europeo e Consiglio la scorsa estate sulla nuova Politica agricola comune, approvata alla fine dell’anno scorso e destinata a entrare in vigore nel 2023. Tra le priorità identificate dal nostro Ministero, insieme ai vari assessorati regionali, figura senza dubbio una maggiore attenzione all’agricoltura biologica e all’allevamento, per contribuire al raggiungimento di tutti gli obiettivi ambientali indicati dall’Unione europea. A sostegno del biologico, per esempio, viene destinato un miliardo di euro che si aggiunge allo stanziamento di 1,5 miliardi già previsto dallo sviluppo rurale. Anche il rilancio della zootecnia e della sua competitività passa attraverso una grande attenzione alla sostenibilità: una quota significativa delle risorse per gli eco-schemi – circa 1,8 miliardi per il quinquennio 2023-2027 – è dedicata al benessere animale e alla riduzione dell’uso di antimicrobici in zootecnia. A queste risorse se ne aggiungono altre per interventi nello sviluppo rurale destinato all’adozione di buone pratiche zootecniche per il benessere animale e a una migliore gestione dei reflui zootecnici: parliamo, rispettivamente, di 330 e di 70 milioni. E poi c’è la cosiddetta “architettura verde”, con una dotazione complessiva, tra primo e secondo pilastro, di circa 10 miliardi di euro per interventi che hanno chiare finalità ambientali, da raggiungere in particolare attraverso i 5 eco-schemi individuati dall’Italia.
Il documento è soddisfacente o ci sono margini di miglioramento?
Le decisioni prese nell’ambito del Psn non sono scolpite nella pietra e, qualora non dovessero funzionare, potranno essere riviste di anno in anno. Certamente, la convergenza interna per il sostegno al reddito, ossia la redistribuzione degli aiuti Ue, decisa nel 2003 con l’entrata in vigore della fase di disaccoppiamento, ovvero di spostamento della spesa effettuata per sostenere i redditi degli agricoltori verso forme di pagamento quanto più possibile indipendenti dal livello delle produzioni, ha influenzato le scelte nel Piano. Con la conseguenza che molte Regioni hanno posto più attenzione all’obiettivo di recuperare risorse che la redistribuzione spostava in altri territori. Entro il 2026, infatti, tutti gli agricoltori dovranno percepire per ogni ettaro di terreno da loro coltivato, almeno l’85% della media nazionale dei pagamenti diretti, con una riduzione dei titoli Pac più elevati e l’introduzione di un tetto massimo di 2mila euro per garantire una maggiore equità nella distribuzione degli aiuti, senza differenziazioni territoriali o regionali. In ogni caso, tenuto conto delle difficoltà incontrate da alcuni settori e prodotti importanti – dalla zootecnia all’olio, dal grano duro al riso, dagli agrumi al pomodoro -, il piano ha potuto utilizzare il 13% dei pagamenti diretti per il sostegno accoppiato a tali filiere strategiche. E a questo, si aggiunge un ulteriore 2% di risorse da destinare al sostegno delle colture proteiche.
Quali vantaggi può portare la nuova Pac agli agricoltori italiani?
Le risorse devono essere legittimate in base ai tre pilastri della nuova Pac, che sono la garanzia di reddito per gli agricoltori, un maggiore rispetto per l’ambiente e per le condizioni dei lavoratori nelle aziende agricole: requisiti che abbiamo ritenuto fondamentali anche con l’obiettivo di una maggiore accettazione di questa politica da parte dei cittadini europei, sempre meno attenti all’importanza strategica di un settore agricolo e alimentare forte e competitivo. Tutto questo non può poi prescindere da un ricambio generazionale forte, che passi da migliori politiche a favore dei giovani agricoltori. Gli strumenti del primo e del secondo pilastro – pagamenti diretti e sviluppo rurale – verranno infatti integrati fra loro, in modo da mobilitare un importo complessivo pari a circa 1,25 miliardi di euro da destinare al sostegno complementare al reddito dei giovani agricoltori.
(Chiara Bandini)
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