“Non sono d’accordo con chi dice che si è fatto tutto il possibile”. È netto il giudizio di Luigi Scordamaglia, presidente di Assocarni e Filiera Italia nel commentare l’approccio di Bruxelles alla fase di difficoltà che investe il mondo alimentare, messo sotto forte pressione dalla pandemia prima e dagli aumenti di materie prime e costi energetici legati al conflitto russo-ucraino poi. “Sicuramente nessuno poteva immaginare uno scenario bellico – ha detto Scordamaglia, intervenuto durante e il convegno “Nuova PAC, quale per l’agroalimentare europeo?”, promosso da EuNews -, ma non era necessario scomodare Premi Nobel per capire che, se per 25 anni si continua a smantellare il sistema di produzione energetica, appena si profila una crisi se ne pagano le conseguenze. Così come non occorreva rivolgersi a Premi Nobel per immaginare che, se per 25 anni si procede a smantellare il sistema di produzione agroalimentare, si può rischiare una crisi grave come quella che si sta verificando oggi”. 



E non è tutto. “Forse Pechino era in possesso di informazioni a noi sconosciute – ha incalzato Scordamaglia -, ma va ricordato che la Cina fin dallo scorso ottobre stocca ben il 60% della produzione alimentare globale di cereali. Ed è così diventata l’unico interlocutore in grado di rivolgersi ai Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente che, ricordiamo, possono contare su riserve di grano capaci di coprire il fabbisogno di poche settimane. E che, per contro, sono guidati da Governi che fondano il proprio consenso sull’utilizzo gratuito di alimenti”. 



Da qui, dunque, la proposta per guardare avanti: “Nel percorso di stesura della nuova Pac, la riforma destinata a entrare in vigore nel 2023 – ha detto Scordamaglia – si è cercato di far convivere le esigenze di una sostenibilità competitiva con quelle della produzione. Nel frattempo però è cambiato il mondo: oggi dobbiamo fare i conti con una condizione di carenza alimentare e di escalation di prezzi che non tornerà indietro con facilità. O almeno, consentirà un recupero ancora più lento di quello registrato dalla tempesta pandemica. E per questo motivo gli aiuti di Stato, che hanno oggi un limite di 35.000 euro per azienda agricola e 400 mila euro per le industrie di trasformazione, sono da considerarsi assolutamente insufficienti. Su questo occorre riflettere e lavorare. Ma anche i 50 milioni messi a disposizione degli agricoltori italiani dall’Ue rappresentano un fianco scoperto, dal momento che dovranno essere spesi entro il settembre 2022. Dunque, in questo contesto mi sembra ragionevole che si prospetti una messa in stand by della Pac per un anno e poi si valutino eventuali aggiornamenti”. 



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