E se Hong Kong fosse la “nuova Tienanmen” per la Cina? Il rischio sale e dopo che il Governo comunista di Pechino ha mosso le sue pedine militari (con carri armati, plotoni ed esercito) schierate al confine, nella comunità intenzionale il rischio fortissimo di nuove repressioni con la forza viene tenuto in stretta considerazione. Il caos economico e politico che sorge dalle continue proteste dei giovani a Hong Kong – che chiedono da tempo autonomia e minore influenza del regime cinese sul Governatorato della Città-Stato – si aggiunge ai rapporti molto tesi tra Cina e Usa sul fronte dazi. Trump ha invitato nelle scorse ore Xi Jinping ad un incontro chiarificatore tanto su Hong Kong quanto sul problema economico ma la risposta cinese al momento è stata “picche”. Da più parti allora si alza il coro di allarme per una possibile invasione della Cina in Hong Kong e la dura repressione col sangue delle proteste, visto anche il pesante schieramento al confine dei carri armati che sinistramente ricordano quanto avvenuto nel 1989. I media cinesi, con il giornale del partito “Global Times” allontanano questo tipo di rischio e affermano in queste ore «Hong Kong non sarà la ripetizione dell’incidente politico del 4 giugno del 1989».



CINA-HONG KONG E L’USO DELLA FORZA

Resta chiaro che proprio il solo aver citato la durissima repressione nel sangue di quel lontano episodio di trent’anni fa in Piazza Tienanmen – raramente i cinesi a livello pubblico discutono e parlano di quei fatti – fa alzare il rischio di una “riedizione” della repressione anche contro i giovani protestanti di Hong Kong. Ancora il Global Times annuncia però «pericolose le interferenze degli Usa ma la Cina può far leva su metodi più sofisticati di quelli di 30 anni fa. Il raduno di forze paramilitari a Shenzhen è un chiaro monito ai rivoltosi». A seguire l’annuncio forse più importante, per ora solo sui media cinesi, ovvero «Pechino non ha ancora deciso se intervenire con la forza per sedare la rivolta di Hong Kong, ma questa opzione è chiaramente a disposizione». L’uso della forza viene tenuto in forte considerazione, specie perché «Se lo stato di diritto non potrà essere ripristinato e le rivolte si intensificheranno, allora sarà un imperativo per il governo centrale prendere azioni dirette nel rispetto della Basic Law», ovvero la Costituzione di Hong Kong. Negli scorsi giorni il consigliere di Trump alla Sicurezza Nazionale John Bolton, aveva ammonito il mondo intero sulla possibile «nuova piazza Tienanmen» pronta ad esplodere in Hong Kong, specie dopo quei movimenti tenuti non nascosti dalla Cina al confine con l’isola. Come raccontava al Sussidiario a fine luglio Francesco Sisci (sinologo, editorialista di Asia Times, per anni corrispondente dalla Cina), «Li Peng è morto in un momento delicatissimo in cui la Cina quasi con un’altra curva ha cominciato a ripensare Tiananmen. Il Partito comunista nel suo obituario ufficiale ha detto quasi come monito anche a Hong Kong che la ‘pacificazione’ fu giusta, mettendo fine ‘a una rivolta violenta controrivoluzionaria’. La posizione ufficiale è che “quella repressione fu giusta”».

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