Il bollettino di ieri fotografa una crisi epidemica senza precedenti, con 98.030 contagiati, 136 morti, 40 ingressi nelle terapie intensive e 489 ricoveri nei reparti ordinari. Un’impennata fortissima non accompagnata da conseguenze gravi, ma che si trascina la necessità di fare una quantità di tamponi insostenibile. Il governo Draghi era davanti a un bivio: insistere sulla linea delle chiusure, delle quarantene e dei tamponi a raffica, oppure dare una svolta ridisegnando le regole dell’isolamento e alleggerendo i test obbligatori.
È stata seguita questa seconda strada. Con un numero così pesante di contagi, costringere alla reclusione domiciliare chiunque fosse venuto a contatto con un positivo, indipendentemente dal fatto che sia sintomatico o vaccinato, significava di fatto chiudere di nuovo il Paese.
La misura chiave adottata ieri è dunque quella che riformula le regole dell’isolamento fiduciario. Il decreto prevede che la quarantena precauzionale non si applica più a quanti hanno avuto contatti stretti con soggetti positivi, purché guariti dal Covid o vaccinati con seconda dose (entro 4 mesi dal completamento del ciclo) o con la terza. Invece della quarantena, per queste persone d’ora in poi vige l’obbligo di indossare per 10 giorni le mascherine Ffp2 e di effettuare – se sintomatici – un test antigenico rapido o molecolare dopo cinque giorni.
Le criticità si spostano dunque dal numero di tamponi al numero di mascherine più protettive, più care di quelle chirurgiche e introvabili da giorni. Per questo il governo ha deciso di calmierarne il prezzo. In Consiglio dei ministri il tema è stato sollevato dall’asse Pd-M5s, con Guerini (Difesa) e Patuanelli (M5s), seguiti da Italia viva, Forza Italia e Lega. La realizzazione pratica di questa misura sarà affidata alla struttura del commissario Figliuolo, cui toccherà trovare un accordo con le farmacie.
Chi si è trovato spiazzato da questo accordo sono gli intransigenti a oltranza sulle misure burocratiche di protezione, che non si trovano soltanto alla sinistra più estrema, quella che esprime il ministro Speranza, ma anche in figure come Renato Brunetta, ministro berlusconiano della Pubblica amministrazione, che chiedeva l’estensione del super green pass – di fatto un obbligo di vaccinazione – a tutti i lavoratori. Il green pass è stato sì rafforzato, ma non negli ambienti di lavoro.
La certificazione riservata a vaccinati e guariti si applicherà anche ad alberghi, ricevimenti, sagre e fiere, centri congressi, ristorazione anche all’aperto, impianti di sci, piscine e palestre, centri sociali e culturali, e riguarderà tutti i mezzi di trasporto, compresi quelli locali come metropolitane, treni regionali e bus. L’allargamento dell’impiego del super certificato scatterà dal 10 gennaio e durerà fino alla cessazione dello stato di emergenza, quindi coinciderà con la ripresa delle scuole e la fine delle vacanze natalizie. Per alberghi, ristoranti e gestori di impianti sciistici sono salve le residue prenotazioni dopo la pioggia di cancellazioni dei giorni scorsi. Infine, il governo ha deciso di ridurre al 50% le capienze degli impianti all’aperto, come gli stadi, e al 35% per quelli al chiuso.
Sull’estensione del green pass nel governo si è sviluppato un braccio di ferro tra le due posizioni, come testimonia la durata della riunione a Palazzo Chigi, iniziata alle 18.30 dopo uno slittamento e conclusa oltre le 22. Contro chi voleva una ulteriore stretta, Lega e M5s hanno sostenuto le richieste delle Regioni, che esigevano appunto la fine della quarantena per i vaccinati e il rafforzamento del green pass ma non per i lavoratori.
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