La paura fa novanta, ma in questo caso non si tratta del noto film degli anni Cinquanta, bensì del numero dei giorni che dovremo tener ben presente a partire da gennaio. Con il 2021 alle porte, forse, in molti non sanno della nuova regolamentazione in materia di default. Non si tratta di un argomento che vede coinvolti i soli soggetti giuridici (in primis le aziende), ma, al contrario, include tutti coloro che potenzialmente potrebbero incappare in posizioni debitorie come, nel caso più semplice, l’essere titolari di un conto corrente bancario anche in qualità di persona fisica.



Escludendo l’approfondimento della normativa introdotta, a supporto di tutti i potenziali interessati, è stata predisposta la “Guida semplice alle nuove regole europee in materia di default” (alla quale si rimanda per un maggiore e dettagliato approfondimento) elaborata nell’ambito del Tavolo di Condivisione Interassociativo sulle Iniziative Regolamentari Internazionali (CIRI).



Da questo utile documento si possono comunque estrapolare i principali elementi di novità: «per arretrato rilevante si intende un ammontare superiore a 500 euro (relativo a uno o più finanziamenti) che rappresenti più dell’1% del totale delle esposizioni dell’impresa verso la banca. Per le persone fisiche e le piccole e medie imprese con esposizioni nei confronti della stessa banca di ammontare complessivamente inferiore a 1 milione di euro, l’importo dei 500 euro è ridotto a 100 euro». Per giungere allo stato di default, il debitore, deve maturare «arretrati di pagamento rilevanti per oltre 90 giorni consecutivi».



Un’importante diversità con il passato è quella relativa alla compensazione tra linee di credito poiché l’interessato (per esempio un’impresa) «non potrà più impiegare margini ancora disponibili su sue linee di credito per compensare gli inadempimenti in essere ed evitare la classificazione in default». Un altro significativo passaggio è riconducibile al caso di più esposizioni: «In linea generale, la classificazione dell’impresa in stato di default, anche in relazione ad un solo finanziamento, comporta il passaggio in default di tutte le sue esposizioni nei confronti della banca. Inoltre, potrebbe avere ripercussioni negative su altre imprese ad essa economicamente collegate, esposte nei confronti del medesimo intermediario finanziario». Per quest’ultimo aspetto è opportuno sottolineare come «il superamento della soglia di rilevanza va valutato a livello di gruppo bancario, tenendo quindi in considerazione tutte le esposizioni dell’impresa nei confronti di banche e intermediari finanziari dello stesso gruppo».

Finora abbiamo visto (sinteticamente) le condizioni e conseguenze dell’essere in default, ma, come riportato nel sopracitato opuscolo alla “domanda 13”, è anche doveroso indicare il periodo previsto per uscire da questo malaugurato status: «Secondo la nuova regolamentazione, per uscire dal default, devono trascorrere almeno tre mesi dal momento in cui non sussistono più le condizioni per classificare l’impresa in default. Durante tale periodo, la banca valuta il comportamento e la situazione finanziaria dell’impresa e, trascorsi i tre mesi, può riclassificare l’impresa in uno stato di non default qualora ritenga che il miglioramento della qualità creditizia di quest’ultima sia effettivo e permanente».

Ovviando in questa nostra sede alle trattazione delle specifiche casistiche, come detto, rimandiamo il lettore alla consultazione della sopracitata guida (e normativa di riferimento) e, per prudenza, si consiglia inoltre un dovuto approfondimento attraverso il proprio intermediario che sicuramente potrà illustrare le novità introdotte.

Certamente, visto l’attuale momento, l’introduzione di queste nuove regole (maggiormente restrittive) non agevolerà la gestione della liquidità di tutti quei soggetti (imprese e/o famiglie) che penalizzati dalla crisi stentano a consolidare i propri averi. Per tale motivo, pur essendo una normativa europea, vorremmo non fosse utopia una revisione dei parametri di applicazione (magari mediante una posticipazione in tempi migliori), ma, tornando alla realtà, siamo consapevoli che tale ipotesi possa essere considerata solo un “sogno” che può trovare unica collocazione nella celebre “smorfia” al numero novanta: la paura.