L’Europa ci sta abituando a poter intervenire su tutto. Purtroppo non ci chiede mai un’opinione sui grandi temi di politica estera, economica o sanitaria, ma quanto alle questioni “green” non la batte nessuno. È di questi giorni l’avvio delle nuove norme europee in materia di imballaggi che stanno creando un putiferio politico ed economico tra le aziende produttive e vedono l’Italia schierarsi contro alcune delle nuove norme volute da Bruxelles.
Partiamo da un’innegabile verità: produciamo troppi rifiuti da imballaggi e l’obiettivo principale è quindi ridurli. Per questo, secondo l’Europa, servono contenitori riutilizzabili o ricaricabili, ad esempio per le bevande e i pasti da asporto. Teoricamente non vi è nulla da eccepire; conseguentemente saranno vietati quelli monouso per frutta e verdura oltre ai flaconcini di detergenti di piccole dimensioni.
Diverse misure mirano inoltre a rendere gli imballaggi completamente riciclabili entro il 2030 con sistemi tra cui l’introduzione di un deposito cauzionale obbligatorio per le bottiglie di plastica e contenitori in metallo per liquidi alimentari fino a tre litri.
Il funzionamento sembra estremamente semplice: acquistando una bottiglia d’acqua, una lattina di birra o di una bibita in vetro il consumatore verserà una cauzione che gli verrà restituita nel momento in cui conferisce il vuoto in appositi contenitori.
Tutto questo solo in teoria, perché al lato pratico vi sono infiniti problemi organizzativi, soprattutto al di fuori dei grandi supermercati, e molti contenitori di oggi sono di difficile riutilizzo. Pensate ai contenitori della frutta, a una busta di insalata, a una bottiglia di vino. Così come strutturato, il regolamento europeo andrebbe così di fatto a colpire soprattutto due dei settori del made in Italy più esportati all’estero.
Parliamo proprio delle vendite di vino, che sui mercati stranieri hanno sfiorato nel 2022 la quota record di 8 miliardi di euro, o quelle di ortofrutta, che hanno raggiunto i 5,7 miliardi, ai quali si aggiungono altri 4,8 miliardi di ortofrutta trasformata, quella più esposta ai cambiamenti in fatto di packaging.
Certamente se il vino verrà venduto in una confezione di tetrapack questa avrà componenti riciclabili, ma come riusare una bottiglia di vino senza l’attrezzatura per il re-imbottigliamento, a parte la qualità? Coldiretti chiede dunque di correggere l’attuale proposta eliminando i divieti per il monouso di frutta e verdura sotto il peso di 1,5 chili. Se ci pensate, infatti, quante volte avete comprato una confezione di succo di frutta più grande di un litro e mezzo, a rischio poi che una parte del succo fermenti? Oppure comprate forse al supermercato una confezione monstre di un chilo e mezzo di insalata? Di fatto ci sarebbe ben maggiore spreco alimentare e si tornerebbe alle vendite sfuse (con quali garanzie di igiene e qualità?), con merci che andrebbero poi comunque riposte da qualche parte. Certo la vecchia sporta di vimini delle nostre nonne fa molto green, ma spesso è di fatto oggi improponibile.
Ed è qui che l’Italia insorge: la gran parte della plastica e del vetro già oggi è biodegradabile o riutilizzabile come materia prima e le aziende italiane ne sono produttrici-leader: eliminare il sistema vorrebbe dire fare tecnologicamente una marcia indietro. Non c’è dubbio che in generale serva una forte coscienza ambientale, così come è assurdo e brutto veder buttar via nell’ambiente le bottiglie di plastica (che però già oggi vengono riciclate, se opportunamente differenziate) ma l’approccio europeo sembra – come quasi sempre – non voler tener conto delle difformità culturali e storiche, per esempio per le bottiglie di vino in vetro da 0,75 litri che tutti utilizziamo.
Alla fine una volta di più è una scelta anche politica, salvo arrivare poi a situazioni al limite dell’assurdo, come tutti possono verificare leggendo l’etichetta di un panettone o di una colomba pasquale (che non si fanno né in Svezia né in Finlandia).
Alla luce delle norme già in vigore, infatti, l’europeo ecologicamente conforme dovrebbe suddividerne l’imballaggio come già oggi appare sulle etichette. Ovvero – mangiato il panettone! – la confezione di cartone andrà gettato nella carta, il sacchetto contenitore nella plastica, lo stampo di cottura nell’organico, il laccetto nel metallo e la maniglietta ancora nella plastica o negli scarti vegetali a seconda di che cosa è fatta. Assurdo? Facciamoci anche un onesto mea-culpa: mentre a Bruxelles si disquisisce, troppi maleducati, ignoranti ed imbecilli italianissimi continuano a buttare i rifiuti lungo le strade.
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