Il 25 aprile, mentre in Italia si festeggiava la liberazione, il Consiglio europeo – dopo l’approvazione da parte dell’europarlamento – ha adottato cinque atti del pacchetto “Fit for 55%”, con il quale l’Ue intende ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030. È il sì del Consiglio alla proposta di direttiva che rivede il sistema di scambio di quote di emissione (Ets).
Ma andiamo con ordine, cominciando da una premessa. L’Europa pesa sul totale delle emissioni mondiali di CO2 per circa il 9%. La Cina è di gran lunga il Paese che ne produce di più: il 33% del totale nel 2021. Pechino punta a raggiungere il picco di emissioni “prima del 2030”: cioè non smetterà di aumentarle per diversi anni ancora.
Con questi dati bene in mente vediamo adesso più da vicino il “Fit for 55”, il pacchetto di riforme che andranno ad aggiornare le normative dell’Ue e ad attuare nuove iniziative affinché gli Stati membri si allineino e raggiungano gli obiettivi climatici stabiliti dalla Commissione europea.
“Pronti per il 55”:con questo pacchetto di riforme l’Europa si pone l’obiettivo di ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 e di conseguire la neutralità climatica, ovvero il raggiungimento di un equilibrio tra le emissioni e l’assorbimento di carbonio, entro il 2050. Un obiettivo estremamente ambizioso, se pensiamo che dal 1990 al 2020 le emissioni nell’Ue si sono ridotte del 20%. Significa ridurre le nostre emissioni di CO2 dal 20% al 55% in meno di dieci anni.
Il costo di tale obiettivo è molto alto. Per conseguirlo, Bruxelles sta smantellando il sistema industriale di un intero continente, dall’automotive in avanti, per passare dal 9% di emissioni di CO2 attuale al 4,95%. E quel futuro è già qui: nei giorni scorsi, dalla plenaria del parlamento europeo, si è dato il via libera definitivo a cinque provvedimenti di questo pacchetto di riforme che una volta pubblicate sulla Gazzetta ufficiale dell’Ue entreranno in vigore 20 giorni dopo: la riforma del sistema Ets, il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Cbam), la riduzione delle emissioni degli aerei e l’inclusione delle navi nell’emission trading e il Fondo sociale per il clima.
L’Ets ovvero il sistema di scambio di quote di emissione dell’Ue (Eu Ets) è, secondo la Commissione, lo strumento fondamentale per la riduzione delle emissioni di gas serra e riguarda circa il 40% delle emissioni totali dell’Ue.
Il sistema fissa il prezzo del carbonio e ogni anno i soggetti interessati, produttori di energia elettrica e calore, settori industriali ad alta intensità energetica come raffinerie di petrolio, industria siderurgica e produzione di cemento, vetro, carta e l’aviazione commerciale nello spazio economico europeo, devono acquistare delle quote corrispondenti alle loro emissioni di gas a effetto serra. Ogni anno viene fissato un massimale di quote immesse sul mercato, massimale che diminuisce di anno in anno.
Con la riforma, che attualmente copre circa 10mila imprese, si avrà una nuova riduzione del 62% di quote sul mercato, ovvero una riduzione di 117 milioni di quote nel corso di due anni, una riduzione annua del 4,3% (2024-2027) e del 4,4% (2028-2030) invece dell’attuale 2,2%.
Il nuovo meccanismo imporrà alle aziende importatrici sul mercato europeo di prodotti coperti dal sistema Ets di comunicare la quantità di emissioni contenute nelle merci alla frontiera e includerà materie prime come ferro, alluminio ed elettricità.
La necessità dell’acquisto dei permessi Ets per i consumi energetici delle abitazioni e delle emissioni dei veicoli a combustibili fossili costringerà inevitabilmente i produttori ad aumentare i costi di bollette e dei carburanti.
Una parte dei proventi delle quote contribuirà al Fondo sociale per il clima, con l’intento di proteggere i cittadini e le imprese più esposti dall’impatto della fissazione del prezzo del carbonio del nuovo sistema Ets. Il Fondo sarà finanziato dai ricavi della messa all’asta delle quote, sarà operativo dal 2026 e si finanzierà in gran parte proprio attraverso le risorse recuperate dall’Ets. Quindi allo stato attuale è una misura che non ha una copertura finanziaria.
Il pericolo vero è che le nuove norme, alzando i costi dell’energia, arrivino a impattare in un panorama economico già preda di estrema incertezza, con un clima avverso agli investimenti.
Il Cbam (Carbon Border Adjustment Mechanism), ovvero il Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, riguarda le importazioni di prodotti ad alta intensità di carbonio ed è stato creato per evitare la rilocalizzazione delle emissioni di CO2. Dal 2026 a chi importa in Ue questi prodotti la norma imporrà di comunicare la quantità di CO2 contenuta nelle merci, per acquistare poi i relativi permessi di emissione. Sarà applicato sulle importazioni di energia elettrica, fertilizzanti, acciaio (anche lavorato), ferro, alluminio, cemento e idrogeno. Non essendo dotato di un supporto all’export, che invece sarebbe necessario a compensazione, si trasformerà in uno strumento che renderà più costoso produrre in Europa con componenti importate.
Gli appelli, giunti a gran voce dagli europarlamentari del centrodestra e dalla Lega in particolare, non sono mancati, ma non sono serviti. Non ci sono i numeri per la minoranza, che può solo fare opposizione, mentre l’Unione Europea intende andare avanti senza se e senza ma. Queste nuove regole aumenteranno il costo delle quote di emissione a carico delle imprese e quindi dei cittadini. Ci ritroveremo climaticamente neutri, avremo smantellato la nostra produzione industriale e continueremo a comprare dagli Stati che continuano a inquinare.
“Due anni fa abbiamo presentato le leggi per la realizzazione del Green Deal europeo; con le votazioni di oggi, raggiungiamo un’altra pietra miliare”, ha scritto su Twitter la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. Ma a che prezzo? Quali saranno le drammatiche conseguenze per le industrie e per i cittadini europei?
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