Il Parlamento europeo dà il via all’estensione del sistema Ets, quello per cui chi inquina paga. Nell’ambito del programma Fit for 55, la strategia europea che vuole ridurre le emissioni del 55% entro il 2030, sono state introdotte norme che, in pratica, dispongono nuove tasse ambientali, stavolta anche sul trasporto su strada, quindi sulle auto, e sulle case, per il riscaldamento e in generale la mancata efficienza energetica. Novità che, una volta andate a regime, potrebbero avere ricadute importanti sulla vita di tutti i giorni.



Il problema resta quello di altri analoghi interventi dell’Unione Europea, come quello delle case green, vale a dire il rischio, molto concreto, che i costi dell’operazione vengano scaricati alla fine sui cittadini. Prevista la diminuzione delle quote gratuite per le imprese per ridurre le tasse ambientali. Nuove norme anche per il trasporto aereo e marittimo.



“C’è bisogno di un sostegno – propone Roberto Bianchini, professore a contratto di Finanza infrastrutturale e direttore dell’Osservatorio Climate Finance del Politecnico di Milano, Academic Fellow per la Bocconi e partner di Ref Ricerche – e se i bilanci statali sono vincolati dal Patto di stabilità occorre un intervento di risorse comunitarie per aiutare Stati e famiglie a traguardare l’obiettivo”.

L’Europa ha introdotto anche il Cbam, una sorta di dazio sulle emissioni realizzate per produzioni provenienti da fuori il continente, ma anche il Social Climate Fund, che dovrebbe servire ad attutire l’impatto economico dei provvedimenti su piccole imprese e privati.



Professore, gli ultimi provvedimenti dell’Europa hanno ricadute molto concrete. Toccano, ad esempio, ancora la casa. Come rischiano di impattare stavolta sulla vita della gente?

Per le case ci saranno degli obiettivi di livello minimo di efficienza energetica. È un tema molto spinoso perché questi interventi, come si è visto con il superbonus del 110%, sono molto costosi. Si dice in questo contesto che sono stati spesi molti miliardi e sono state efficientate poche case: un po’ è dovuto all’aumento dei costi, un po’ al fatto che il costo di efficientamento di un edificio esistente è molto elevato. Sono anche interventi che hanno tempi di recupero dell’investimento molto lunghi: oggi spendo decine di migliaia di euro per efficientare dal punto di vista energetico e il ritorno che ho in termini di risparmi di costo lo vedo su un orizzonte piuttosto lungo.

Il ritorno lo vedranno i nostri figli?

Un po’ sì, è spalmato intergenerazionalmente. Infatti questi tipi di intervento difficilmente vengono realizzati senza un contributo pubblico.

Queste misure hanno ripercussioni dirette anche sul mercato immobiliare?

Sì. Succede che il mercato immobiliare nel momento in cui ha un’informazione secondo cui tra un tot numero di anni le case dovranno avere un’efficienza energetica minima, deprezza la casa di chi non ha questo requisito. Non domani. Perché io oggi la vendo a qualcuno che tra un po’ di anni si ritroverà una casa che varrà molto meno. C’è una perdita che sul mercato immobiliare già un po’ si vede. Questa cosa è tanto più grave quanto più si parla di famiglie con redditi medio-bassi, che hanno difficoltà a sostenere gli interventi necessari.

Siamo sulla linea della direttiva delle case green, ma questa nuova decisione della Ue come incide praticamente sui proprietari della casa? Dovranno pagare permessi Ets se l’edificio è in una classe energetica bassa?

La novità di questi giorni è l’estensione del meccanismo Ets anche ad altri settori. L’obiettivo è che chiunque emetta CO2 paghi per questa emissione. Da lì a una vera applicazione al settore domestico ne passerà: il rischio è relativamente basso. In ogni caso si tratta di un meccanismo da maneggiare con cura.

Per adesso è una sorta di enunciazione di principio?

Esatto. La piena applicazione al settore domestico la vedo come un passaggio che verrà fatto nel momento in cui ci sarà piena applicazione degli obblighi sul livello minimo di efficientamento energetico delle case.

E per quanto riguarda il trasporto su strada? Ci dobbiamo aspettare rincari dei prezzi delle auto e della benzina?

Ci può essere lo stesso fenomeno che c’è stato con l’incremento del costo dell’energia: un vettore che viene scaricato a valle sui prodotti finali. Dall’altro dovrebbe essere anche un meccanismo che spinge le aziende del trasporto a rendere più sostenibile la loro attività. E ci sono molteplici possibilità: l’ultimo miglio con il vettore elettrico, il trasporto intermodale. Il settore trasporti ha la possibilità di abbassare la propria impronta carbonica.

Il problema è sempre, però, che, per quanto i principi siano condivisibili, i costi si scarichino sulla gente. Non è così?

Esiste un costo, che oggi non prezziamo, che è quello di inquinare. Quanto di quel costo venga traslato a valle al consumatore finale e quanto venga incorporato dalle imprese è sostanzialmente frutto della dinamica competitiva all’interno del settore. In un comparto molto competitivo in cui ci sono diversi livelli di efficienza energetica non è detto che tutti transitino a valle quel costo. Io lo faccio solo se anche il mio competitor lo fa, ma se si innesca una dinamica per cui io non traslo i costi interamente a valle, anche il mio competitor non potrà farlo. Altrimenti va fuori mercato.

C’è un fondo europeo che dovrebbe sostenere tutta questa operazione per attutirne l’impatto. Come funzionerà? Non potrebbe venire utilizzato in questa fase di passaggio per ammortizzare eventuali costi che si scaricano sulla collettività?

Bisogna assolutamente fare così. Il tema è proprio quello: la transizione è tanto più drammatica tanto più si va su fasce della popolazione a reddito medio-basso. Il meccanismo del fondo prevede che i ricavi, che incamerano gli Stati, del sistema Ets verranno utilizzati per creare fondi che aiutino a mitigare le conseguenze in termini di costi per le fasce vulnerabili della popolazione. Ci sta che le fasce più ricche della popolazione paghino per quanto inquinano, la loro alternativa è: pago oppure cambio le mie abitudini di consumo per cercare di inquinare di meno. Ma c’è chi non può cambiare abitudini perché è in una fascia di reddito molto basso: comprimere i consumi, per queste persone in larga parte essenziali, vorrebbe dire andare in povertà nutrizionale, energetica. Per questo bisogna usare i fondi.

Questi fondi materialmente come verranno utilizzati?

Non si sanno ancora tuti i dettagli, ma sostanzialmente serviranno per sostenere gli investimenti, per incrementare l’efficienza energetica degli edifici, la decarbonizzazione, lo sviluppo di energie rinnovabili.

Ci possiamo accedere tutti come privati?

Come verrà definito non si sa, perché questa è una proposta legislativa per la quale ci sono ancora molti passaggi da fare. L’idea è che siano fondi che possono essere attivati dai cittadini per determinati interventi.

Poi c’è il Cbam, in pratica un dazio sui prodotti extra-Ue che vengono realizzati producendo emissioni. Come incide sulla nostra economia?

È per evitare il carbon leakage. Se sono un’azienda ad elevate emissioni e viene introdotta una tassa ambientale pesante, la mia decisione può essere quella di delocalizzare la produzione in un’area del mondo in cui questa tassa ambientale non c’è. Per evitare il fenomeno, soprattutto su settori che sono maggiormente impattati, quindi ferro, acciaio, cemento, impongono una tassa. Il contenuto di carbonio importato in Europa viene pagato.

Case green, auto elettriche, ora questi provvedimenti. Cosa ci dobbiamo aspettare d’altro dall’Europa?

Tutte queste norme erano già declinate nei principi all’interno del Green Deal. Queste sono le norme più rilevanti. Mi aspetto che parallelamente al far emergere questo costo ambientale vengano attivati gli strumenti adatti per far sì che questa transizione possa essere effettivamente realizzata: tanti interventi sono molto onerosi per il consumatore finale. Deve essere aiutato.

Ritorna, insomma, il tema della fattibilità?

Soprattutto gli interventi per l’efficienza energetica degli edifici sono molto difficili da implementare su larga scala, molto costosi. Il 110% ha avuto molti problemi, ma bisogna trovare un meccanismo parente di questo che incentivi le persone su un orizzonte temporale d medio termine a efficientare la propria abitazione.

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