L’imbuto formativo post-laurea in medicina e le attese estenuanti per un posto in specialità appartengono ormai al passato. Da quest’anno accademico, nonostante la riduzione del 24% dei contratti statali disponibili al primo anno nelle 51 scuole di specializzazione dell’area medica, si registra un aumento considerevole delle rinunce (contratti non assegnati) e degli abbandoni durante il primo anno. Le medie generali (15,8% di contratti non assegnati e 6,7% di abbandoni) non chiariscono però il quadro variegato nelle diverse discipline e nei diversi atenei.
Dall’analisi dei dati, accorpando rinunce e abbandoni, si registrano percentuali vicino allo zero in alcune discipline attualmente molto “ambite” come cardiologia, neurologia, oftalmologia, pediatria, dermatologia e psichiatria. Sull’altro fronte della graduatoria emergono dati imbarazzanti e preoccupanti per il funzionamento del Servizio sanitario nazionale come radioterapia (79,3% di rinunce e abbandoni), medicina d’urgenza (62,6%), chirurgia toracica (53,2%). Percentuali alte di rinunce e abbandoni si registrano anche nelle scuole aperte anche ai laureati non medici come microbiologia e virologia (89,2%), patologia clinica e biochimica clinica (73,7%), farmacologia e tossicologia clinica (70,2%) e statistica sanitaria e biometria (58,6%). Discorso a parte merita la specializzazione in medicina di comunità e delle cure primarie (80,4%) dove appare evidente l’attuale mancanza di chiari sbocchi professionali, che potrebbero forse essere colmati con l’utilizzo del titolo per l’attività di medicina di famiglia (Tabella 1).
In generale il fenomeno di rinunce e abbandoni è più evidente nell’area dei servizi (28,5%), rispetto alle aree mediche e chirurgiche (rispettivamente 18,9% e 17,7%). L’analisi di rinunce e abbandoni per sedi universitarie mostra dati inaspettati: il fenomeno risulta contenuto in tre atenei siciliani (Palermo 6,6%, Catania 11,2% e Messina 12,6%) ma anche alla Cattolica del S. Cuore e in atenei del Nord-Italia. Sassari (51,9%) e Udine (41,9%) chiudono questa preoccupante graduatoria (Tabella 2).
Le conseguenze di questo fenomeno allarmante sono facili da intuire: anche fra qualche anno, quando il numero complessivo di neo-laureati e specialisti sarà aumentato, nelle specialità poco ambite vi saranno organici incompleti e impossibilità a reclutare nuovi specialisti sul territorio nazionale. Difficili le soluzioni e, probabilmente, inefficaci quelle prospettate fin qui come lo stipendio differenziato per specializzazione, l’aumento dei posti nelle specialità che riscuotono minor interesse o le riduzioni in quelle più ambite.
Qualcuno ha anche proposto di impedire la re-iscrizione ad altre scuole l’anno successivo o, più energicamente, di impedire la ripetizione dell’esame quando si è collocati utilmente in una graduatoria. Ma sembrano proposte di difficile attuazione, anche sul piano legale. Sta di fatto che, accanto alla programmazione dei posti nelle facoltà di Medicina e chirurgia, la disomogeneità di distribuzione nelle scuole di specializzazione è un fenomeno che richiede interventi legislativi urgenti in capo ai due ministeri interessati.
È comunque auspicabile per il futuro (a cominciare da quest’anno) che i contratti per neo-specialisti non siano superiori ai candidati reali (desunti dalle stime dei laureati nella sessione estiva); e ciò in quanto l’eccesso di disponibilità potrebbe accentuare il fenomeno delle mancate iscrizioni alle specialità meno ambite, fenomeno sopra descritto.
In una visione più a lungo termine dovrà essere anche considerato seriamente il tema degli stipendi dei medici in relazione alla media europea dei Paesi con simile status economico. Come noto, al momento, l’Italia ha medie molto inferiori, il che non attrae professionisti dall’estero e incentiva le migrazioni post-laurea, quantificate in circa mille unità all’anno.
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