Secondo uno studio di Coldiretti, quasi tre milioni di italiani non avranno la possibilità di organizzare feste a tavola o cenoni durante il prossimo Natale, ma dovranno recarsi alle mense per i poveri o chiedere pacchi alimentari. Sempre in questo studio si afferma che “l’Italia sta vivendo una emergenza sociale senza precedenti dai tempi dell’ultimo dopoguerra”: il numero di bambini sotto i 15 anni bisognosi di assistenza per mangiare ha superato quota 600mila. A loro vanno aggiunti 337mila anziani sopra i 65 anni e 687mila migranti stranieri.
Ma soprattutto, come ci ha detto in questa intervista don Virginio Colmegna, consigliere del Centro ambrosiano di solidarietà (Ceas) e Presidente della Casa della carità Angelo Abriani, “tra i nuovi poveri ci sono coloro i quali una volta appartenevano al cosiddetto ceto medio, piccoli commercianti o artigiani che hanno dovuto chiudere le loro imprese, famiglie che non godono di aiuti pubblici o non hanno risparmi messi da parte e anche lavoratori a tempo determinato”. Una crisi drammatica, ci ha detto ancora don Colmegna, “che avrebbe bisogno di uno scossone per indurre prima di tutto a un cambio di mentalità e dello stile di vita”.
Le cifre dei nuovi poveri aumentano sempre di più. Siamo davanti a un’emergenza come mai prima. Dall’alto della sua esperienza sul campo, ce lo può confermare?
La povertà oggi si è fatta strutturale, ne conosciamo i numeri. Dai dati però bisogna fare dei passi avanti, comprendere cosa vuol dire essere poveri. In questo momento drammatico bisognerebbe vivere il significato autentico della fraternità. La povertà è fatta di elementi portanti come la solitudine e la sofferenza, non dimentichiamo mai che la povertà non è solo un dato materiale, ma esiste anche la povertà relazionale.
Chi sono i nuovi poveri?
Quello che una volta si chiamava ceto medio è tra i più colpiti, la povertà ha fatto saltare ogni riferimento a cui eravamo abituati.
Molte di queste persone appartenenti a quella che era una classe abbastanza agiata, per vergogna non si recano alle mense dei poveri, si accontentano della consegna di pacchi alimentari ricevendoli da chi è in grado di darglieli. È un metodo che seguite anche voi?
È ormai un dato di fatto anche questo. I poveri sono persone che hanno una grande dignità. Non vanno nei luoghi pubblici come le mense, cercano la riservatezza, la povertà diventa spesso un elemento di nascondimento. Quando nel Vangelo si dice “beati i poveri”, non significa che i poveri sono contenti di esserlo, conservano la dignità umana che è più forte dell’ingiustizia. Questo è un compito che va riscoperto, perché ci sono situazioni particolari, famiglie che vivono un loro disagio, sommerse e nascoste. Ogni aiuto deve far scattare una esigenza di giustizia, la povertà invoca la giustizia. Ci vogliono cambiamenti strutturali.
Qual è la risposta del tessuto sociale a tutto questo? La gente fa più fatica a donare, per paura di impoverirsi a sua volta?
Si continua a donare e a condividere, ma stiamo assistendo a un cambiamento epocale, che molti non riconoscono. È necessario cambiare lo stile di vita, assumerne uno all’insegna della sobrietà. A tutto questo si è aggiunto anche il dramma della guerra, che ha prodotto altri nuovi poveri: la guerra è ulteriore povertà, è follia, come il Papa ci richiama continuamente.
Siamo quasi a Natale: che impegno dobbiamo assumerci?
Il periodo natalizio ce lo mostra ogni volta, anche in questa situazione di povertà estrema assistiamo a un consumismo di massa di chi se lo può permettere. Si glorifica il ritorno del turismo nella nostra città di Milano a livelli superiori a prima della pandemia, ma è giusto spendere così i soldi? È una contraddizione: i poveri diventano sempre più poveri. Ci vorrebbe uno scossone in termine di consapevolezza, la solidarietà dovrebbe diventare strutturale. Invece cresce l’individualismo. E il Natale non deve essere consumato, ma vissuto.
(Paolo Vites)
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