L’ultimo Dpcm conferma, come gli ultimi approvati dal Governo durante il periodo dell’emergenza Covid-19, l’atteggiamento di favore verso il ricorso allo smart working anche, ad esempio, e per quanto compatibile con i servizi da erogare, per i professionisti. Nella stessa direzione, quella di limitare il più possibile l’assembramento, e i contatti, tra le persone, va la scelta dell’esecutivo di valorizzare la didattica a distanza (la temuta Dad) portandola al 100% per le scuole superiori a esclusione di attività specifiche e mirate, quali i laboratori, da tenersi, comunque, in presenza.
In questo quadro alcuni importanti studi evidenziano il rischio che queste nuove modalità di lavoro “agile” aiutino maggiormente chi già aveva un reddito più alto a che ha potuto continuare a lavorare, mentre colpisca, più duramente, i lavori (spesso in “stand by”) caratterizzati da una bassa, e strutturale, propensione allo smart working accentuando ancora di più le disuguaglianze, ad esempio quelle di genere, tra lavoratori.
Per questo serviranno, certamente, nuove politiche di sostegno al reddito per le fasce più deboli, ma, soprattutto, politiche di diffusione delle nuove tecnologie e politiche di formazione professionale per i lavoratori più vulnerabili affinché il lavoro da remoto diventi un’opportunità per tutti e non una scelta per pochi.
Allo stesso tempo la svolta “smart”, specialmente se diventerà, come immaginabile in molti settori, strutturale, rischia di colpire, particolarmente duramente, i milioni di lavoratori che operano nell’indotto del lavoro “tradizionale” negli uffici. Si pensi, solo a titolo esemplificativo, ai trasporti locali, alle mense aziendali, al settore delle manutenzioni, agli addetti alle pulizie e ai magazzinieri.
Per questi comparti la crisi generata dal “Covid-19” rischia di rappresentare solo l’inizio della fine (?) e una minaccia “mortale” per i bilanci di aziende spesso già in difficoltà con l’eccezione di chi, in questo periodo, ha saputo rinnovare, anche radicalmente, il proprio business.
Probabilmente, insomma, anche dopo la crisi pandemica in senso stretto molte aziende dei servizi sceglieranno di continuare a lavorare in maniera “intelligente” grazie alle opportunità che, in alcuni settori, vengono offerte dalle nuove tecnologie andando anche a modificare, in profondità, tempi e modi di vivere le nostre città. Bisogna, però, probabilmente iniziare a pensare, già oggi, a come muoversi per riqualificare, e tenere nel mercato, chi magari ha sempre lavorato in aziende che rischiano, nel nuovo contesto, di morire non tanto per il Covid-19, ma per una digitalizzazione dei processi particolarmente accelerata nel nostro Paese.
Le risorse da investire, in particolare europee, sembrano non mancare, viene da chiedersi se vi siano le idee “smart” su cui collocarle.