Il primo Dpcm del governo Draghi (e chissà che non sia anche l’ultimo) ha segnato un’altra rottura con il governo Conte. È una discontinuità di metodo e di contenuti che ha un aspetto immediatamente visibile: non c’è più il presidente del Consiglio a interpretare uno “one man show” per ammaestrare gli italiani con finte conferenze stampa (finte perché quasi sempre prive di contraddittorio), convocate a tarda sera, interminabili nel loro intento moralizzatore, spesso contraddittorie rispetto alle bozze lasciate filtrare nelle ore immediatamente precedenti, e talvolta ostili verso le Regioni costrette a ingoiare provvedimenti decisi all’ultimo minuto. Ieri sera i contenuti del provvedimento sono stati comunicati dai due ministri competenti (Salute e Autonomie regionali) e dai tecnici più alti in grado (presidente dell’Istituto superiore di sanità e presidente del Consiglio superiore di sanità). L’appuntamento era alle 19, in modo che i telegiornali della sera potessero dare notizie e non restare appesi alle dirette Facebook della coppia Conte-Casalino. Gli aspetti tecnici erano stati concordati con le Regioni ed entreranno in vigore dopo 4 giorni, non più dopo 4 ore.



Questo è l’aspetto per così dire “estetico”, quello che salta subito agli occhi. L’estetica di Mario Draghi corrisponde a un’etica precisa: far parlare i fatti. Lui ancora non si offre ai giornalisti, ma ci sarà tempo. Queste due settimane a Palazzo Chigi mostrano che l’Italia non è quel Paese ingessato dalla burocrazia e imprigionato nello stereotipo dell’improvvisazione che per anni ci è stato raccontato: cambiare si può. È possibile avvicendare funzionari discussi, comunicare con chiarezza, rispettare le istituzioni, comporre (o almeno non esasperare) i conflitti con le amministrazioni periferiche.



Ma non c’è soltanto l’apparenza. La presenza allo stesso tavolo di un ministro di Leu e una ministra di Forza Italia dà il segno del cambio di passo nel senso di una ritrovata concordia. Nell’ultimo anno la comunicazione di Palazzo Chigi era stata costruita per scaricare responsabilità sui colpevoli di turno, ora le Regioni, ora gli assembramenti, ora gli spritz: esisteva un governo che predicava bene e un Paese che razzolava male. Adesso con le Regioni c’è un coinvolgimento preventivo grazie a un tavolo di confronto per valutare i parametri anche in considerazione delle nuove varianti del virus. Sparisce la pletora di eccezioni alle chiusure che creavano tanto disorientamento: dal 6 marzo in zona rossa chiudono tutte le scuole e tutti i negozi, compresi parrucchieri e centri estetici, e sarà pure vietato andare a trovare parenti e amici come invece era stato concesso a Natale. Nelle zone rosse, insomma, nemmeno quest’anno sarà valido l’antico adagio “Pasqua con chi vuoi”. In sostanza, finisce l’epoca delle concessioni che facevano sentire i cittadini succubi di uno Stato il quale, a proprio insindacabile giudizio, apriva per alcuni i rubinetti della libertà e li chiudeva per altri.



Di pari passo procederà il piano vaccinale che i nuovi vertici operativi (Protezione civile e commissario per l’emergenza) stanno mettendo a punto. La strategia è stata anticipata l’altro giorno dal ministro della Difesa: il modello dei “drive through” finora utilizzati per i tamponi sarà replicato per i vaccini. È una pratica già applicata dai centri ospedalieri militari e verrà estesa. Con l’arrivo delle nuove varianti più contagiose, fare in fretta i vaccini è diventato ancora più importante.

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