Didattica a distanza alle scuole superiori, limiti alla mobilità fra regioni a rischio, centri commerciali chiusi nei weekend, stop alle visite nei musei, serrata di sale bingo e scommesse, mezzi pubblici pieni al 50% e limiti alla circolazione delle persone di sera. È affidato a questo pacchetto di misure, che il governo dovrebbe varare oggi e che il premier Conte ha illustrato ieri a Camera e Senato, l’obiettivo di “mitigare” l’avanzata della seconda ondata Covid: in Italia registrati più di 22mila casi positivi su 135mila tamponi con 2.022 pazienti ricoverati in terapia intensiva. Basteranno per produrre gli effetti attesi? Lo abbiamo chiesto al virologo Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’Istituto Galeazzi di Milano.



L’Italia – ha detto Conte – sarà divisa in tre zone di rischio, in base a 21 indicatori, anche se a determinare la scelta è soprattutto l’indice Rt. È schizzato all’insù perché è saltato il test & tracing?

Sì, il test & tracing è saltato. L’indice Rt sta andando verso il suo valore naturale, che è 2,5, cioè il valore dell’R0 lasciato a se stesso, senza azioni di contenimento. Ma il segno della ripresa in atto dell’epidemia lo si vede anche in quel 16% di casi positivi sul totale dei tamponi: il trend è stabile, ma non è una bella cosa.



Il test & tracing va fatto alla coreana con tracciamento e big data dei movimenti?

Sarebbe bello, ma da noi è molto difficile.

Il rapporto percentuale dei positivi sui tamponi è simile a marzo?

Non si può dire così, perché a marzo tracciavamo solo i casi clinici.

Il virus è crollato con l’estate o è stato decisivo il lockdown?

È stato merito soprattutto del lockdown.

Perché?

L’epidemia è nata come un iceberg: a dicembre e gennaio sono arrivati molti asintomatici da Wuhan: 20mila persone che andavano avanti e indietro con voli diretti. Hanno creato un iceberg sotterraneo, che ha cominciato piano piano a “ghiacciare”, cioè a dare massa critica, poi di colpo ha fatto emergere quella quota percentuale bassa, ma comunque presente, di casi. Il lockdown ha consentito di sciogliere un po’ l’iceberg, lasciando comunque intatta una parte sotterranea di casi asintomatici o di, seppur pochi, casi clinici. Ora, vuoi per le riaperture, vuoi per il passare del tempo dalla fine del lockdown, l’iceberg sta tentando di crescere. È la sua natura, ma va portato a sgonfiarsi.



Con questi dati epidemiologici esponenziali si rischia la terza ondata a marzo?

Nel passato ci sono state sì terze ondate, ma io credo che oggi, con l’ultimo Dpcm, saremo in grado di convivere con il virus.

In che senso?

Il Dpcm ha l’obiettivo di mitigare, non di contenere, l’epidemia, consentendoci di fare poi di nuovo il contact tracing.

Il Dpcm interviene su Didattica a distanza nelle scuole superiori, riduzione al 50% di capienza sui mezzi pubblici e chiusura nel weekend dei centri commerciali. Basterà?

Tutto ciò frena la mobilità e gli assembramenti. L’obiettivo è cercare di ridurre i contatti superflui: in questo frangente ogni contatto ha un rischio, bassissimo, ma è pur sempre un rischio di infezione. Quindi, massima attenzione alla prevenzione.

Di solito i cicli epidemici durano in media 60-90 giorni. Avremo il picco della seconda ondata verso metà novembre?

Può essere.

È vero che ci sono 5 varianti del virus, più aggressive, ma il Sars-Cov-2 non è mutato?

Queste varianti non sono un granché, si tratta di piccole screziature, piccole variazioni genetiche, ma non sostanziali. Il virus è uguale a quello che ci ha colpito all’inizio. E non parlerei di maggiore aggressività, direi piuttosto che alcune di queste piccole varianti sono più diffusive.

Il vaccino sarà utile?
Sicuramente sì, anche se il 40%, in base ad alcuni sondaggi, non si dichiara così entusiasta di sottoporsi al vaccino.

Uno studio britannico ha dimostrato che gli anticorpi durano in media 60 giorni…

Cominciano a calare, ma non si sa se poi, seppur azzerati quantitativamente, comunque rappresentano ancora una copertura.

Servirà un vaccino a doppio richiamo?

Probabilmente sì. Ma ci vuole tempo per rendere oggettiva la sua copertura in vista di una vaccinazione di massa.

Le recidive sono rare?

Sì. Ci sono solo 22 casi in tutto il mondo, conclamati e certi, di reinfezione.

Gli asintomatici giocano ancora un ruolo importante nella diffusione dei contagi o no?

Ci sono asintomatici e asintomatici. Alcuni sono debolmente positivi e contagiano poco o niente. Ma nel loro insieme sono loro che mantengono attiva la catena del contagio, sono loro che causano i focolai in famiglia. Sono ancora il problema: è la peculiarità di questa malattia, banale e pervasiva, che provoca, nella stragrandissima maggioranza dei casi, nulla o poco più. Ma a causa della sua ampia diffusione, basta anche lo 0,7% dei pazienti che va a finire in terapia intensiva per creare grossi problemi.

Nelle Rsa c’è il problema di riuscire oggi a gestire gli anziani trovati positivi e – spesso – asintomatici?

No, perché gli anziani sono più facilmente sintomatici. Oggi l’infezione arriva dal mondo esterno e questo ha costretto le Rsa a nuove chiusure.

Ma questi anziani, se vengono trasferiti in un ospedale in area Covid, vanno a occupare un letto che potrebbe essere utile per chi sta davvero male. Ecco il dilemma: trasformare le Rsa in strutture Covid per anziani positivi asintomatici o questi soggetti vanno mandati negli alberghi?

Le Rsa oggi possono essere in grado, differenziando e segmentando i pazienti più lievi, di gestirli. La scommessa del futuro sarà creare gli alberghi Covid per alleggerire la pressione sugli ospedali.

Molte persone sono spaventate da questa seconda ondata Covid e tendono a correre ai pronto soccorso, intasandoli. Non sarebbe meglio invece avere in casa un saturimetro?

Può essere utile per monitorare l’evolvere della malattia. In questo periodo bisogna stare attenti a insistere su pronto soccorso e ospedali.

(Marco Biscella)

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