È stato firmato nella notte, secondo anticipazioni giornalistiche, l’ennesimo Dpcm bizantino che arzigogola su riduzione di quarantene e tamponi per gli asintomatici, limiti agli assembramenti a geometria variabile con il pallottoliere e nuovi vincoli e divieti, dagli sport di contatto amatoriali alle gite scolastiche, dalle feste in casa alle soste serali davanti ai locali. Il premier Giuseppe Conte e il ministro Speranza escludono nuovi lockdown generalizzati, ma il governo e il Cts continuano sulla strada dello stato emergenziale, che – unico caso in Europa – è ormai in vigore dal 31 gennaio e resterà prorogato fino alla stessa data del 2021. Intanto la crisi economica, come ha ricordato ieri il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, intervenendo all’assemblea di Assolombarda, si fa sempre più acuta con “dati da Pil di guerra”. “Le condizioni economiche e sociali degli italiani stanno rapidamente peggiorando – osserva Antonio Pilati, saggista, ex commissario dell’AgCom e già presidente della Fondazione Rosselli – e questo prima o poi, in che tempi non so prevederlo, inciderà sull’immagine del primo ministro e del governo”. Il quale governo, sull’emergenza sanitaria “si è mosso a zig-zag” e su quella economica “non ha saputo andare oltre sussidi, nazionalizzazioni e sovvenzioni Ue”, ma l’Europa “non si fida”, anche se “continua a sostenere Conte per assenza di un’altra opzione”.



L’Italia è l’unico paese europeo in cui vige ancora lo stato d’emergenza. È normale o si sta esagerando?

È evidente che altri paesi hanno modelli diversi dal nostro, basti pensare alla Francia, alla Svezia o alla Germania, meno rigidi di noi. Il virus circola ancora e quindi è giusto essere prudenti, però penso che il governo più che esagerare nella prudenza abbia una linea oscillante, a zig-zag.



In che senso?

Vediamo le cose in prospettiva. Lo stato di emergenza viene dichiarato il 31 gennaio, per tutto febbraio sostanzialmente non viene fatto nulla, anzi ci si lascia andare ad aperitivi e abbracci ai cinesi, mentre i contagi aumentano velocemente. In più non si chiudono Alzano e Nembro, che a fine febbraio erano in una condizione catastrofica, e poi si decide per un lockdown generalizzato nella prima settimana di marzo. Si tiene il lockdown a lungo, finché arriva l’estate e si passa a una politica permissiva, con viaggi e movide varie. Adesso, di nuovo allarmati, si torna a ventilare misure severe. Nel contempo, sembra che si riducano i giorni di quarantena e i tamponi per gli asintomatici positivi. Questa oscillazione nei provvedimenti è dovuta all’incertezza e alla difficoltà ad adottare una linea chiara.



Da cosa dipende?

Il governo ha una maggioranza molto debole, sbandata e litigiosa, ci sono forti pressioni dalle categorie economiche: in queste condizioni è evidente che poter applicare alla popolazione misure restrittive e allarme sociale rende più facile tenere insieme la maggioranza. Il retropensiero è che certe asperità politiche si superano meglio in condizioni di emergenza che in condizioni normali.

Questa strategia dell’allarme sociale serve al governo per restare in sella?

Sì e no. Durante l’estate non si è seguita la strategia dell’allarme sociale, anzi il suo contrario. Ripeto: è un governo che alterna momenti in cui insiste sul pericolo sanitario e momenti, come a febbraio, in cui preferisce seguire una linea più lasca.

Molti lamentano un eccessivo ricorso ai Dpcm e una sistematica marginalizzazione del Parlamento. Sono critiche più che giustificate?

Su questo punto seguo il professor Cassese. I Dpcm sono uno strumento di cui non bisogna abusare, le misure importanti vanno discusse ed emanate con decreti legge con il consenso del Parlamento. E in un clima di allarme sociale il Parlamento dovrebbe essere protagonista, non attore marginale.

Sull’emergenza sanitaria Conte ha costruito la sua immagine di “commander in chief” in grado di fronteggiare l’attacco del Covid, puntando al consenso degli italiani. È ancora così?

Questa è materia da sondaggisti e mi pare che alcuni sondaggi sulla popolarità di Conte ne registrino un consenso in calo. Qui dipende molto dalla situazione economica.

Perché?

Le condizioni economiche e sociali degli italiani stanno rapidamente peggiorando e questo prima o poi, in che tempi non so prevederlo, inciderà sull’immagine del primo ministro e del governo.

Cosa potrebbe succedere se gli italiani dovessero accorgersi, anche a causa della crisi economica, che l’allarme sanitario pompato dal governo non ha fondamento, cioè è “un’altra cosa” rispetto a marzo-aprile, quando si moriva davvero? Ci potrebbe essere un effetto-Renzi su Conte?

Vale quel che ho detto prima. Quando lo sbandamento economico sarà insopportabile e ne risentirà la vita dei cittadini, ci saranno pesanti ricadute.

Sull’emergenza economica si sente più d’accordo con l’ottimismo del ministro Roberto Gualtieri o con la preoccupazione del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi?

Senz’altro con la preoccupazione di Bonomi. L’azione economica del governo si è risolta sostanzialmente in due interventi: uno, estendere quanto più possibile i sussidi; due, cercare di fare nazionalizzazioni, da Autostrade ad Alitalia, da Ilva alla banda larga. Due linee che non hanno ricadute positive sull’economia: consumano risorse, ma non danno una spinta al Pil. C’è una fascia di imprese, da ammirare, che stanno reagendo alla crisi, come mostra la ripresa dei consumi elettrici, però ho l’impressione che sia una quota, pur importantissima, ma limitata del tessuto economico.

Il governo adesso punta forte sul Recovery fund. Fa bene?

Il governo ha fatto molto conto sugli introiti derivanti dal Recovery fund, che sono raccontati come la vincita a una lotteria. Ma in Europa non ci sono lotterie, ci sono solo prestiti, che a quanto pare arriveranno tardi.

Con quali effetti?

Tutto questo rende complessa la situazione economica, anche perché il tessuto dei servizi e delle micro imprese sta soffrendo e rischia di lacerarsi.

In una intervista al Sussidiario lei aveva detto che in autunno l’Italia si sarebbe trovata nel bel mezzo di una questione politica (Pd e M5s sono due partiti che mal si conciliano), una strategica (l’Italia attraversa la più drammatica crisi dal dopoguerra senza avere una strategia) e una internazionale (l’Ue è molto preoccupata per l’incapacità dell’Italia di spendere bene i soldi che riceverà). Questi tre nodi sono ancora sul tavolo?

Pd e M5s continuano a essere molto diversi e hanno difficoltà ad allearsi. La crisi dei Cinquestelle, tuttavia, corre molto rapidamente e porta una parte dei pentastellati a vedere l’ombrello del Partito democratico come unica possibilità di salvezza. Di fatto stanno diventando una corrente esterna del Pd, una sorta di Sel, il partito di Vendola. E questo può favorire il Pd.

La questione strategica?

È presto detto: la situazione economica, per l’assenza di un’azione chiara del governo, è destinata solo a peggiorare.

E l’Europa?

Continua a sostenere Conte per assenza di un’altra opzione, ma si rende conto benissimo che gli interventi sull’economia sono insufficienti, che il governo italiano continua ad accumulare debito e che sui soldi del Recovery fund non c’è alcuna garanzia che verranno spesi in maniera produttiva. Infatti, guarda caso, ogni giorno che passa si allontana la data in cui verranno erogati.

Questi tre nodi potrebbero diventare un cappio per il governo e per Conte? Potrebbero anche innescare una crisi politica?

Vedo una crisi economica che si aggrava e gli sbocchi delle crisi sono sempre imprevedibili. L’Europa, che è il vero supporter di Conte, non ha un’alternativa e quindi la crisi rimane sospesa. Bisognerà inoltre vedere come andranno le elezioni presidenziali americane: dovesse vincere Biden, il governo avrebbe una boccata d’ossigeno. Resta comunque una situazione molto precaria, che peggiora visibilmente, anche se non ha in sé, per ora – e sottolineo per ora – i germi di un cambiamento.

(Marco Biscella)