Rapporti con la Ue, legge elettorale, sicurezza, fisco, giustizia, lavoro, sviluppo sostenibile: le 80 pagine del discorso programmatico – un’ora e mezza – di Giuseppe Conte in Aula alla Camera promettono – parola del premier – di essere la linea d’azione di un esecutivo che vuole aprire una lunga e profonda “stagione riformatrice”. Un intervento che ha raccolto la fiducia dei deputati di Montecitorio con 343 sì. Ma per Rino Formica, politico socialista della Prima Repubblica e osservatore smaliziato delle due incerte “Repubbliche” successive, restano sullo sfondo diverse ambiguità, “a partire dal rapporto con l’Europa e sulle politiche necessarie per lo sviluppo, l’industria e il lavoro. Ambiguità che deve risolvere il M5s al suo interno”. E il Pd? “Ha suscitato nel suo elettorato aspettative illimitate, che sarà difficile accontentare. E questo sarà il primo serio nodo che il Conte-2 si troverà davanti lungo la sua strada”.
Conte, nel suo discorso, ha detto però che il suo governo vuole avere un “respiro di legislatura” e ha toccato con enfasi molti temi. Come lo giudica?
Quando si presenta un governo, è rituale affermare di voler durare per tutto l’arco della legislatura, sono frasi a cui bisogna dare il peso, scarso, che meritano. L’attenzione non va tanto rivolta a ciò che si è detto per il futuro, perché quando si presenta il governo è come il primo giorno di scuola, si è pieni di buoni propositi, ma poi la vita scolastica segue un percorso diverso. La vera questione è: che cosa ci si poteva e doveva aspettare e non c’è stato?
Secondo lei cosa è mancato?
Questo governo nasce dal rovesciamento di un’alleanza che a inizio legislatura era stata considerata atipica, dettata dalla necessità: due forze con obiettivi diversi, esperienze diverse, strategie diverse e valori diversi si mettevano insieme e inauguravano una stagione nuova dell’esperienza della democrazia repubblicana. Non più un governo, ma due governi in uno. Il Contratto era la copertura di una modifica non solo formale, ma sostanziale dell’istituto del governo nella Costituzione italiana: il governo, infatti, rappresenta l’istituzione che sulla base di un consenso di maggioranza nel Parlamento ha un’unica visione nel governare gli interessi del paese.
E con il governo giallo-verde che è successo?
Si sperimenta un’inesplorata forma nuova. Due governi in un governo, con un’ulteriore atipicità: la figura dell’arbitro, compositore del dissenso tra i due governi, per cercare non di realizzare una sintesi responsabile, ma un arbitraggio possibile. Tutto questo improvvisamente si è rotto.
Perché?
Non perché c’è stata una discussione politica sull’impossibilità e impraticabilità istituzionale di questo innesto. È esploso perché è emerso un elemento nuovo.
Quale?
Che la forza entrata come minoranza nel doppio governo aveva ottenuto successi elettorali di gran lunga superiori all’altra forza, elettoralmente maggioritaria. Temendo che la situazione non potesse durare a lungo, dopo il saccheggio delle finanze pubbliche che aveva consentito la coesistenza, si andava verso la rarefazione delle risorse che avrebbero reso difficile anche un solo governo, e la Lega ha inteso monetizzare immediatamente questo successo elettorale. Il M5s, che perdeva consensi, dovendo trovare una forma di difesa nei confronti della Lega, che intendeva prima sodomizzare e poi fagocitare l’alleato, ha dovuto seguire una strada obbligata: allearsi con un’altra forza parlamentare disponibile, una forza che aveva già nel suo bagaglio delle difficoltà, avendo iniziato la legislatura con una sconfitta elettorale. Così si sono alleate una forza che aveva perso l’esercito prima delle elezioni e una forza che lo aveva perso dopo le elezioni.
Due debolezze che però sono riuscite a mettere in piedi una maggioranza…
Due debolezze che per puro caso insieme sono riuscite a fare il 50 più uno in Parlamento, perché se avessero fatto il 49% questa operazione non sarebbe andata in porto. E per chi vuole recuperare posizioni e vuole difendere meglio il proprio elettorato è giusto che sperimenti anche un cambio di alleato.
Questa doverosa premessa per arrivare a dire?
Per spiegare quello che è mancato nell’intervento di Conte, e che resta il punto misterioso di questa alleanza. La ragione per cui il consenso del M5s nel giro di un anno e nell’esperienza del governo giallo-verde ha perso metà del suo elettorato.
Che cosa deve rivedere, riaggiustare il M5s?
La politica europea, per esempio. Nella presentazione del governo da parte di Conte non c’è una scelta europea forte, accelerata. C’è un riconoscimento dell’importanza, dell’utilità, della necessità dell’alleanza europea, dell’alleanza atlantica e della Nato, ma è tutto un riferimento in cui si ha quasi il timore di poter dire al proprio elettorato: avevamo imboccato una strada radicalmente diversa e autolesionistica.
Sul piano interno?
C’è indubbiamente una difesa delle politiche di bilancio, delle politiche economiche, delle politiche di intervento nell’area del lavoro e dello sviluppo, ma dentro il M5s c’è stata, ed è ancora forte, la tendenza a uno sviluppo limitato, controllato. E tutto questo è un elemento di ambiguità, che si nota.
E nel Pd?
C’è la paura profonda di trovarsi a gestire una fase nella quale si dovranno dire molti no alle aspettative arretrate, alle domande arretrate del loro elettorato, che si sono accumulate, a partire dal mondo del lavoro e alla situazione, ormai al limite dell’insopportabile, del blocco salariale.
Ma questo è il governo che ha già promesso taglio del cuneo e salario minimo.
Già il taglio del cuneo fiscale, nelle dichiarazioni di Conte, è apparso come un avvio. C’è una limitazione oggettiva. Siccome non possono dare la casa, fanno vedere la fotografia… Nella sua esposizione, ed è stata una debolezza, il premier ha dato l’illusione che tutte le domande arretrate possono essere prese in esame. Il che non accadrà. Neanche per gli asili nido: è una cosa bella iniziare dagli asili, ma domani, e ancora per chissà quanti anni, in molte zone d’Italia gli asili non ci saranno.
Parliamo del taglio dei parlamentari. Che ne pensa?
Non basta aver accennato vagamente che questo governo affronterà la questione di una revisione degli equilibri costituzionali, cioè che entra in una fase costituente, perché questo passaggio ha bisogno di un dibattito politico vasto, non solo nelle ristrette aule delle istituzioni, ha bisogno del contributo dei corpi intermedi e dei corpi vitali della società. Una volta votata la riduzione dei parlamentari, tutto il resto non ha quella preparazione e quella mobilitazione della società civile a entrare in un processo costituente. O entra con il fuoco di una grande partecipazione, come nel 1946, quando però si avviano alla conclusone 20 anni di fascismo, la Seconda guerra mondiale, la Resistenza, oppure si fa tutto questo a freddo, solo per soddisfare le velleità del M5s e solo per ragioni economiche? È una mossa che per il Pd può essere autolesionistica.
Conte nel suo discorso alla Camera ha elencato una lunga serie di interventi e di spese, dagli asili nido al New Deal Green. Dove troverà le risorse?
Il problema è che le risorse private si aggiungano a quelle pubbliche, che da sole, anche se ci fossero, non sono sufficienti. Ma dov’è la passione per questo governo? Il giudizio più benevolo che circola è che è un governo che ha bloccato la deriva reazionaria. È un bene, ma non sono state affrontate le ragioni che hanno visto una parte dell’esercito della sinistra popolare italiana passare dal fronte del rinnovamento, del riformismo e della giustizia sociale alla reazione.
Secondo lei, in questa esperienza di governo rischia di più il M5s o il Pd?
Il rischio sta nella tentazione che c’è in entrambe le forze: chi fagocita prima l’altro. E a mio avviso, allo stato attuale, credo che usciranno fagocitati tutti e due da qualcosa che sta nascendo nel Paese: nelle viscere della società c’è un agitarsi, c’è un radicalismo non ancora espresso.
La Lega comanda nelle Commissioni e guida le Regioni del Nord. Questo potrebbe rendere accidentato il percorso del governo giallo-rosso?
Non credo proprio, perché la maggioranza nelle commissioni è formata da esponenti giallo-rossi e i presidenti di commissione, o di assemblea, possono fare ben poco.
E le Regioni del Nord?
Nelle Regioni i governatori esercitano un certo potere, ma bisogna fare i conti con quell’ampia maggioranza consiliare legata a influenze del potere centrale. Per creare un intoppo, un’interferenza basta un provvedimento governativo che ritardi l’erogazione delle risorse…
Non l’ha sorpresa il fatto che nel suo discorso Conte non abbia citato nemmeno una cifra?
Non lo ha fatto perché bisogna tenere nel vago la fattibilità delle aspettative del Pd. Questo sarà il primo grosso ostacolo che il governo dovrà affrontare. Senza dimenticare che il Conte-2 già deve fare i conti con un sostegno debole nel Paese. Ma a sorprendermi di più è stato il dibattito parlamentare.
Perché?
Scadente, assolutamente scadente, anche nel Pd. Non c’è cosa peggiore che ascoltare un giovane che parla come un burocrate. Vuol dire che è già vecchio.
(Marco Biscella)
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