A poche settimane dalle elezioni politiche del 25 settembre, il nuovo Governo ha di fronte compiti e sfide di grande urgenza, rilevanza e complessità. Si tratta di una grande responsabilità, di fronte ai cittadini, alle famiglie, al Paese nel suo complesso. Ma cosa possono aspettarsi le famiglie da un Governo che deve ancora insediarsi? Quali nodi è urgente mettere in agenda per le famiglie oggi? E soprattutto, come mantenere la famiglia all’interno delle priorità di tale agenda?



Un primo elemento essenziale è il criterio della concretezza e dell’operatività. Sulla famiglia sono state spese molte parole, in questa campagna elettorale, da quasi tutti i partiti in lizza. Anzi, forse proprio in questa campagna elettorale è emersa una curiosa trasformazione semantica, per cui i bisogni e le necessità dei cittadini sono stati definiti sempre più spesso come i bisogni delle famiglie… le bollette delle famiglie… il sostegno alle famiglie…”.



Un eccesso di famiglia nella retorica pre-elettorale, quasi stucchevole, che portava però a qualche ragionevole diffidenza rispetto alla reale centralità della famiglia, nel caso di vittoria alle elezioni.

Quindi la prima e più importante sfida è quella di passare dalle parole ai fatti, dalle affermazioni di principio a un’azione davvero rispettosa della soggettività e delle reali necessità delle famiglie. E questo fa riferimento non tanto ai programmi elettorali (in tutti i partiti liste di promesse più che impegni concrete, libro dei sogni più che agenda che impegna le scelte future), quanto al modo in cui verranno finanziate le politiche familiari, e alla misura in cui i bisogni delle famiglie e la dimensione familiare e intergenerazionale sapranno “colorare di famiglia” l’agenda delle priorità del Governo e le azioni sul Pnrr, che rimane la grande opportunità di investimento e di rilancio del sistema Paese.



Un secondo elemento essenziale – che in verità non riguarda solo le politiche per la famiglia, in questo particolare momento storico – è riuscire a sfuggire a un male strutturale della nostra vita politica, che potremmo definire “sindrome della tela di Penelope”, secondo la quale un nuovo Governo per prima cosa deve necessariamente disfare quanto fatto dal Governo precedente, per inventare qualcosa di nuovo.

Ne sa qualcosa la nostra scuola, dove mini o maxi riforme si sono succedute a ondate successive, senza mai stabilizzare processi culturali e organizzativi di cambiamento, ma sempre riportando le cose “alla casella del via”.

Stavolta però il 2021-2022 per le politiche familiari ha segnato alcuni passaggi strategici, che possono essere discussi, migliorati, riorientati, ma che sarebbe folle “chiudere in un cassetto” per il solo fatto di essere stati realizzati da “quelli di prima”. In particolare l’assegno unico universale (erogato dal 1° marzo 2022), il Family Act (approvato ad aprile 2022) e il Piano nazionale famiglia (approvato a fine settembre 2022 – un po’ sul filo di lana delle titolarità del Governo precedente…) sono tre atti normativi formali, figli non solo di scelte di una più o meno ampia maggioranza di governo, ma soprattutto generati da un complessivo accordo strategico bipartisan in Parlamento e tra i partiti, anche grazie al costante lavoro di rappresentanza e cucitura del Forum delle associazioni familiari. Insomma, l’assegno unico dovrà essere sicuramente migliorato e rafforzato, il Family Act potrà essere in qualche modo ridiscusso, il Piano nazionale della famiglia potrà essere rivisto ed integrato.

Ma rimangono punti forti da cui partire, scelte strategiche che per una volta hanno segnato le politiche familiari con una visione di lungo periodo, e non con interventi emergenziali e una tantum. Un Governo forte può e deve permettersi di costruire “miglioramento nella continuità”, oltre le ideologie e gli scontri pre-elettorali, senza la frenesia di dover mettere bandierine di partito.

Molte sono le priorità e le urgenze che le famiglie manifestano oggi: dall’emergenza economica al lavoro dei giovani, dalle sfide educative e scolastiche ai compiti di cura verso gli anziani, dalle politiche di armonizzazione tra lavoro e famiglia fino ai bisogni di sostegno psicologico di minori e famiglie.  Serve sicuramente una nuova “Agenda famiglia”, che faccia tesoro dei passi già effettuati, ma che sappia anche coraggiosamente innovare.

In particolare – ultimo criterio da segnalare – l’innovazione dovrà riguardare proprio il tema della responsabilità e libertà di azione delle famiglie, per la ricostruzione di un sistema più sussidiario, in cui le famiglie, i genitori, le reti familiari e l’associazionismo familiare vengano legittimati come interlocutori attivi, come protagonisti. Serve una nuova alleanza in cui le famiglie siano coinvolte nella co-progettazione, e non siano considerate solo come destinatari della progettazione della pubblica amministrazione. Serve un sistema in cui le famiglie siano considerate risorsa, e non destinatari passivi di servizi programmati negli uffici tecnici dei Comuni, delle Regioni, dei Ministeri.

Se c’è un valore su cui il nuovo Governo potrebbe – e dovrebbe – fare la differenza, questo è proprio la sussidiarietà e l’empowerment nelle politiche di sostegno e promozione delle famiglie. Basti ricordare cosa è – in positivo – l’affidamento etero familiare, in cui il servizio di tutela del benessere di un minore in difficoltà è “erogato” prima di tutto da una famiglia che lo accoglie al proprio interno. Certo, in sinergia e collaborazione con i servizi pubblici, ma è la famiglia affidataria, nella sua qualità relazionale e solidale, “in quanto famiglia”, la vera risorsa per accogliere e sostenere il minore. Oppure – in negativo – torniamo a riflettere su quanto siamo ancora lontani, nel nostro Paese, da una reale “libertà di scelta educativa” delle famiglie, nonostante i molti esempi a livello internazionale di sistemi scolastici in cui il bene “istruzione universalistico” è garantito attraverso un sistema plurale di enti, al cui interno le famiglie possono scegliere consapevolmente progetti educativi condivisi. Un diritto universalistico, quello dell’educazione, da garantire a tutti, che è pubblico non solo quando è “statale”. Ed è strano vedere quanto poco sappiamo “imparare dall’Europa”, nel nostro Paese, su questo tema, così cruciale per il nostro futuro.

Più sussidiarietà significa, infine, ricostruire un percorso circolare di corresponsabilità: aiutare le persone e le famiglie ad aiutarsi, infatti, esige che persone e famiglie siano responsabili rispetto al bene comune, si coinvolgano nelle azioni pubbliche.

Più sussidiarietà, in questa prospettiva, potrebbe essere anche uno strumento per rimettere in movimento quel 36% di cittadini (e di quante famiglie?) che il 25 settembre ha scelto di non votare; scelta legittima, ovviamente, ma che sa tanto, più che di protesta, di indifferenza, quando non di resa: “Non serve a niente votare, non mi interessa, io non posso – o non voglio – fare niente per cambiare le cose”.

Se vogliamo cambiare questo Paese, non possiamo dimenticare questo dato, aspettando le prossime elezioni: serve un nuovo modello di politica, di cittadinanza diffusa, di corresponsabilità. Serve più sussidiarietà e più cittadinanza attiva. Anche da parte delle famiglie.

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