“È l’esito inevitabile di un compromesso con le forze politiche” dice al telefono Stefano Folli, editorialista di Repubblica, pochi minuti dopo che Mario Draghi ha letto l’elenco dei ministri del suo governo. “Mi pare che le premesse per formare il governo siano state mantenute”. Ovvero? “I ministeri strategici per il Recovery Plan sono andati a persone che Draghi conosce e di cui si fida. Insomma Draghi mantiene l’impronta”.
Parliamo di 23 ministri, di cui 15 politici e 8 tecnici; tra i ministri politici, 4 sono di M5s, 3 della Lega, 3 del Pd, 3 di FI, uno di Iv, uno di Leu; 6 ministri politici sono riconfermati – Di Maio (M5s) agli Esteri, Guerini (Pd) alla Difesa, Franceschini (Pd) alla cultura, Speranza (Leu) alla Salute, D’Incà (M5s) ai Rapporti con il parlamento, Bonetti (Iv) alle Pari opportunità –, gli altri politici – tranne Dadone e Patuanelli di M5s che cambiano delega dal Conte 2 a Draghi – ovvero Giorgetti, Stefani, Garavaglia della Lega; Brunetta, Gelmini, Carfagna di FI e Orlando del Pd, entrano a far parte della nuova compagine governativa. Sono i tecnici ad assumere le restanti, importantissime deleghe: Daniele Franco all’Economia, Vittorio Colao all’Innovazione tecnologica, Giovannini alle Infrastrutture, Roberto Cingolani alla Transizione ecologica, Marta Cartabia alla Giustizia.
La sua prima osservazione, a caldo?
La novità vera di questo governo è Draghi, è lui la vera discontinuità. Mette le persone di cui si fida in alcuni dicasteri importanti e poi dà, forse in misura maggiore di quella che si poteva prevedere, ai politici una serie di dicasteri scelti sapendo bilanciare i rispettivi pesi elettorali. Non avrebbe potuto fare diversamente.
Si parlava di un governo di soli tecnici.
Chi se lo aspettava era fuori strada. Si poteva immaginare qualcosa di più, ma quello che c’è non è poco.
Mi dica un dicastero, il nuovo titolare e la sua opinione.
La Giustizia è un ministero chiave, e la Cartabia è stata presidente della Consulta; veniamo da Bonafede. Poi Franco all’Economia, Colao all’Innovazione tecnologica… Sono tutte persone di grande rilievo in ruoli altrettanto importanti.
Nella compagine c’è una sorta di “partito” di Draghi?
Non direi, non diciamolo in questi termini, si presta ad equivoci. Draghi non ha in mente di farsi nessun partito. C’è un gruppo di tecnici che fa riferimento al presidente del Consiglio e che rafforza la sua immagine di novità e di discontinuità, questo sì.
Come mai Di Maio è rimasto agli Esteri?
Vediamola in un altro modo. Come si faceva a non dare ai 5 Stelle un ministero importante? Nel complicato gioco dei dicasteri Di Maio era già agli Esteri, dove ha maturato esperienza e si è comportato bene perché ha contribuito non poco a tenere M5s agganciato al governo. Non mi sorprende che sia stato confermato. E poi non dimentichiamoci che i 5 Stelle sono il partito di maggioranza relativa.
Non sappiamo a chi va l’interlocuzione con l’Ue. Ma forse l’interlocuzione è una cosa, la gestione un’altra.
È un punto da capire. Gestire gli Affari europei toccherà probabilmente a un sottosegretario.
È un governo a tempo?
Non esiste un governo a tempo, non è mai esistito nella storia della Repubblica. Nemmeno quelli considerati a scadenza per andare alle urne. I governi durano fino a che ci sono le condizioni politiche. Che poi duri un anno e finisca con le prossime elezioni del presidente della Repubblica, può darsi, ma non perché nasce come governo a scadenza.
È stato anche etichettato come governo dei due presidenti.
Io stesso l’ho detto e scritto. Diciamo che quella dei due presidenti è una formula giornalistica che esprime la forte sintonia che c’è tra due figure istituzionali i cui ruoli sono ben distinti. Però, tutto sommato, è una formula che si può usare.
(Federico Ferraù)
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