Chi si illude che i giochi per le caselle di governo sono tutti fatti non conosce la politica. Ci sono almeno 31 poltroncine di sottogoverno da assegnare, quelle di viceministri e sottosegretari, e la tarantella di ogni inizio legislatura non si può dire affatto finita. Per di più andrà a intersecarsi con la presidenza delle commissioni parlamentari permanenti, terze file del sistema di potere, ma non per questo meno appetibili. Facciamo un esempio: se a Giulio Tremonti, ormai transitato nelle fila di Fratelli d’Italia, andasse (come pare probabile) la presidenza della commissione Bilancio della Camera, si potrebbe ritenere abbastanza soddisfatto, una sorta di premio alla carriera.
La distribuzione dei sottosegretari avverrà entro la settimana, ma dopo la fiducia di martedì e mercoledì. Una saggia cautela della neo-premier (non nuova, a dire il vero), onde non rischiare nulla in sede di voto di fiducia. Meglio non rischiare l’ira degli esclusi. Perché di esclusi ce ne saranno, e non tutti gli appetiti politici verrano soddisfatti.
A destare le maggiori preoccupazioni dell’entourage meloniano è in questa fase Silvio Berlusconi, che ha fatto trapelare intenzioni bellicose: intende trovare una parziale compensazione rispetto a una trattativa per la formazione del nuovo esecutivo che lo ha visto marginalizzato dalla durezza della leader di FdI. Ai limiti dell’umiliazione.
Dicono che il Cavaliere mediti vendetta. Dicono che la sua strategia nell’immediato sia rivendicare una serie di caselle di sottogoverno che suonano tanto come una marcatura “a uomo” dei ministri che Forza Italia rivendicava e che, alla fine, non ha avuto. Difficile leggere in modo differente la richiesta di mandare Francesco Paolo Sisto alla Giustizia, dove la Meloni ha imposto Carlo Nordio. Va detto, per completezza d’informazione, che il nome di Sisto circola anche per la vicepresidenza del Csm. O meglio, ce lo vorrebbe Berlusconi, nella stessa chiave di guadagnare spazi di controllo nelle materie che lui sente più sensibili, per se stesso e per il suo partito.
Allo stesso modo fra i desiderata di Berlusconi c’è la richiesta della delega per l’Editoria (nell’ambito della presidenza del Consiglio) per Alberto Barachini, già presidente della Vigilanza Rai. Un filo più inquietante è l’intenzione di infilare il fedelissimo Valentino Valentini, non rieletto, alla Farnesina. Tajani per provare di esser degno di quel ministero ha dovuto chiedere una benedizione del Ppe, a riprova del suo europeismo. Valentini, uomo capace e poliglotta, ha sempre tenuto rapporti strettissimi con Putin e il suo entourage, nell’ambito di quella relazione speciale che Berlusconi ha da vent’anni con il leader del Cremlino. Agli occhi di molti suonerebbe come una quinta colonna, pronta a riallacciare relazioni speciali con Mosca non appena le circostanze lo permetteranno. E questo potrebbe accadere piuttosto presto, almeno secondo gli auspici di Arcore.
Non sarà facile per Giorgia Meloni trovare il punto di equilibrio fra pretese dell’alleato e ragioni di convenienza internazionale. Ma tutti gli appetiti dell’alleata o azzurro non potranno essere soddisfatti. A giudizio di molti osservatori, comunque, il punto debole del centrodestra va individuato molto più in Berlusconi e in Forza Italia, che non nella Lega di Salvini. Intorno al Cavaliere c’è un partito che ha raccolto un risultato insperato nei numeri, ma assolutamente insufficiente rispetto alle ambizioni del suo leader, visto come un pericolo per le sue amicizie internazionali, mai rinnegate, peraltro.
A confronto, la Lega sembra un agnellino, che ha deciso di ragionare da forza di governo. Salvini può rinfacciare agli oppositori interni le poltrone che ha spuntato, dalla presidenza della Camera ai vari ministeri. Con lui la Meloni è stata generosa, soprattutto in qualità. Con lui alle Infrastrutture e Giorgetti all’Economia il Carroccio ha in mano una fetta rilevante delle sorti del Pnrr. Adesso vietato fallire, bizze del Cavaliere permettendo.
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